A cura di Bert Flossbach, co-fondatore di Flossbach von Storch
Dal picco della crisi finanziaria alla fine del 2008, l’indice S&P 500 è aumentato di circa il 550%. Includendo i dividendi, si ottiene un rendimento totale di oltre il 700%. Da allora, le azioni statunitensi hanno registrato una performance tre volte superiore a quella dei titoli europei o giapponesi.
Una scommessa contro le azioni statunitensi era quindi costosa. Mai come negli ultimi anni il mercato azionario statunitense ha dominato il panorama azionario globale. Quali sono le ragioni di tale evoluzione? È probabile che continui e in che modo le politiche di Trump influenzeranno i mercati dei capitali statunitensi?

Partiamo da alcuni fatti: gli Stati Uniti rappresentano il 4% della popolazione mondiale, generano oltre un quarto della produzione economica globale e circa un terzo dei profitti aziendali globali.
Secondo le stime della Commissione europea, le aziende statunitensi rappresentano il 42% della spesa globale in ricerca e sviluppo. La spesa per lo sviluppo di software raggiunge il 70%.
Si tratta di una delle ragioni principali che spiegano l’elevato livello di produttività degli Stati Uniti, che negli ultimi 20 anni è aumentato in modo molto più marcato rispetto all’Europa. La crescita della produttività ha subito una nuova accelerazione dopo la crisi finanziaria del 2008.
I motivi sono i massicci investimenti e le innovazioni nel settore dell’alta tecnologia. Le principali aziende tecnologiche hanno raggiunto la supremazia globale, evidenziata dalle capitalizzazioni di mercato significativamente più elevate. Alla fine del 2008, la capitalizzazione di mercato delle società incluse nello S&P 500 era di soli 8.000 miliardi di dollari. A fine 2024 ammontava a 52.000 miliardi di dollari, 6,5 volte tanto.
L’aumento di valore dei Magnifici Sette (Apple, Nvidia, Microsoft, Alphabet, Amazon, Meta e Tesla) è particolarmente sorprendente. Alla fine del 2008, quando Meta e Tesla erano ancora delle start-up, la capitalizzazione di mercato dei Magnifici Sette ammontava a soli 372 miliardi di dollari. Mentre oggi è pari a 17.600 miliardi, dunque il valore di tali aziende è aumentato di 47 volte.
Ciò si riflette naturalmente anche nella ponderazione delle azioni americane nell’indice MSCI World, che comprende le azioni di 23 Paesi industrializzati. Alla fine del 2024, la percentuale di azioni statunitensi era del 73%. Delle 100 maggiori società in termini di capitalizzazione di mercato, 62 sono statunitensi.
Ciò significa che l’indice del mercato azionario mondiale è in realtà un indice azionario statunitense con una piccola componente internazionale.
La percentuale di azioni europee e giapponesi si aggira oggi rispettivamente intorno al 15 e al 5%. La più grande azienda europea, il gruppo farmaceutico danese Novo Nordisk, si trova al 26° posto con una capitalizzazione di mercato di 386 miliardi di dollari. Mentre SAP, la più grande azienda tedesca nell’indice, è al 37° posto nella classifica globale.
L’unico titolo non statunitense (a parte Saudi Aramco) che si avvicina alla top 10 è TSMC. Le dieci società più grandi per capitalizzazione sono dominate in modo schiacciante dalle società statunitensi, soprattutto quelle tecnologiche, che attualmente sono nove, e tutte, tranne una, appartengono al settore tecnologico.
Molti ricorderanno la bolla tecnologica del 2000. Le aziende statunitensi dominavano il mercato azionario globale, anche se non erano neanche lontanamente grandi e redditizie come lo sono oggi.
Microsoft all’epoca era la più grande, con una capitalizzazione di mercato di 601 miliardi di dollari, ed è l’unica azienda rimasta nella top 10 da allora. NTT Docomo e Lucent Technologies sono state acquisite. NTT, Cisco e Intel sono tuttora scambiate al di sotto dei prezzi di allora e General Electric ha perso quasi il 90% del suo valore nei 20 anni successivi.
Da allora, solo due titoli hanno sovraperformato l’indice MSCI World. Microsoft e Walmart, con le azioni Microsoft che hanno impiegato 15 anni per tornare al livello dei primi anni 2000, dividendi inclusi.
All’inizio del 2011, il mercato azionario era in una fase di profondo torpore. I primi dieci titoli includevano quattro titoli petroliferi, due banche cinesi e due società tecnologiche statunitensi. Le valutazioni erano basse, tanto che persino Microsoft e Apple erano valutate solo dieci volte i loro utili annuali.
Il mercato azionario sembrava finito: una sensazione comprensibile dopo i due grandi crolli dei dieci anni precedenti. Quale potrebbe essere il quadro nel 2030? Molti elementi suggeriscono che la maggior parte delle azioni continuerà a provenire dagli Stati Uniti e prevalentemente dal settore tecnologico.
Non si tratta di una previsione azzardata sul prezzo delle azioni, poiché la capitalizzazione di mercato delle società tecnologiche statunitensi è talmente elevata che anche un forte calo dei loro prezzi azionari non cambierebbe di molto la loro presenza in classifica. A ciò si aggiunge l’eccezionale posizione di mercato e l’ulteriore potenziale di crescita dovuto alla crescente digitalizzazione.
Tuttavia, l’impulso del settore tecnologico è forte. Quindi la classifica dei titoli più importanti è destinata a cambiare. Ma è anche probabile che avvicendamenti e trasformazioni provengano soprattutto dagli Stati Uniti, dove non ci sono solo le più grandi aziende tecnologiche, ma anche la più grande azienda farmaceutica (Eli Lilly), la più grande banca (JP Morgan), i più grandi fornitori di servizi di pagamento (Visa, Mastercard), i più grandi retailer (Walmart, Cosco) e altri pesi massimi di diversi settori.
La posizione dominante degli Stati Uniti e dei mercati finanziari statunitensi richiama l’espressione “eccezionalismo americano“, una descrizione che è stata recentemente rivitalizzata anche dagli analisti finanziari.
Redazione
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