Una delle grandi sorprese di questa fase di quasi fine del Covid è la marcia travolgente delle materie prime, che dall’aprile del 2020 hanno visto il loro principale indice crescere del 115%.
Alla base del trend c’è da una parte una crescita degli investimenti delle maggiori economie occidentali, spinte da politiche fiscali mai viste prima, dall’altra un’offerta inelastica, che ha tenuto per anni gli investimenti bassi. E molti ritengono che si sia di fronte, dopo anni di mercati mediocri, alla nascita di un nuovo super-ciclo
Rispetto a un anno fa viviamo in uno scenario economico profondamente diverso. È vero, infatti, che l’estate scorsa l’economia mondiale rimbalzò dopo la peggiore recessione moderna sull’onda di un Covid che sembrava sul punto di sparire, ma è altrettanto fuori discussione che all’epoca non erano disponibili i vaccini (nonché i protocolli più aggiornati) per cancellare la pandemia dall’orizzonte del pianeta. Di conseguenza, finalmente oggi ci troviamo di fronte a un quadro di forte fiducia nei confronti dell’economia mondiale, anche se accompagnato da timori di una fiammata dell’inflazione.
Il ritorno alla ribalta dei segmenti più ciclici del sistema globale ha posto al centro dell’interesse degli investitori praticamente tutto ciò che riguarda le materie prime. Infatti, se si analizza l’S&P Gsci, un benchmark che rappresenta 24 future sulle risorse naturali più prodotte, si scopre che a fine aprile del 2020 fu raggiunto il minimo storico, in termini nominali, per questo indicatore.
In quella caotica fase, infatti, furono abbattuti anche i record negativi visti durante la crisi finanziaria e quelli registrati al termine degli anni novanta, uno dei momenti più negativi della storia delle materie prime. Da allora a fine maggio 2021 il rialzo è stato superiore al 115%.
DOMANDA IN AUMENTO
Il tutto è avvenuto in un quadro generale di domanda in aumento che non trova corrispondenza nell’offerta, uno scenario così sintetizzato da Clément Inbona, gestore di La Financière de l’Echiquier: «Domanda in aumento, pressioni sull’offerta, difficoltà logistiche: questo trittico inflazionistico si replica in diversi mercati. Anche il trasporto merci è sotto pressione. Sostenuti da un’impennata della crescita, ma penalizzati dall’aumento dei corsi del petrolio e da una flotta sottodimensionata dopo anni di sottoinvestimenti, i costi di trasporto stanno salendo alle stelle. Mentre inviare un container tra Shanghai e Los Angeles comportava una spesa intorno a 1.500 dollari prima della crisi, ora costa più di 5 mila. Allo stesso modo, l’aumento dei prezzi interessa praticamente tutte le materie prime. L’epoca in cui il petrolio veniva scambiato a una quotazione negativa sembra ormai molto lontana, anche se è passato soltanto poco più di un anno. Il barile, oggi, scambia a circa 65 dollari a New York, in rialzo di oltre il 30% dall’inizio dell’anno. Le materie prime agricole e i metalli industriali non sono da meno, quasi tutti in rialzo di alcune decine di punti percentuali dall’inizio dell’anno».
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Boris Secciani
Nato a Bologna nel 1974, a Milano ho completato gli studi in economia politica, con una specializzazione in metodi quantitativi. Ho cominciato la mia carriera come broker di materie prime negli Usa, per poi proseguire come trader sul forex. Tornato in Italia ho partecipato come analista e giornalista a diversi progetti. Sono in FONDI&SICAV dalla sua fondazione, dove opero come Responsabile dell'Ufficio Studi. I miei interessi si incentrano soprattutto sul mondo dei tassi di interesse e del reddito fisso, sulla gestione del rischio di portafoglio e sull'asset allocation.

