• Come è possibile che il forte balzo dell’inflazione USA di aprile e maggio non abbia fatto salire i tassi governativi a lunga scadenza, ma anzi sia stato seguito da una loro discesa?
• L’inflazione è, di fatto, una tassa sui consumatori. È sostenibile se, e solo se, il reddito dei consumatori cresce in linea, o più, dell’aumento dei prezzi. Diversamente è una tassa, e basta, che deprime il potere d’acquisto. Questo è ciò che sta avvenendo negli USA.
• Il balzo dei prezzi al consumo di aprile e maggio non è stato compensato da un corrispondente aumento dei salari, la cui variazione in termini reali risulta abbondantemente negativa. In questo senso l’inflazione diventa deflazionistica, perché tagliando il potere d’acquisto, crea i presupposti per un calo dei consumi e quindi un rallentamento dell’economia.
• Non a caso la Federal Reserve ha puntato l’attenzione sulle motivazioni peculiari che
hanno spinto i prezzi verso l’alto, tutti legati alle riaperture post-vaccinazione, precisando che un tipo di inflazione così non va contrastato con tassi più alti, il cui effetto deflazionistico sarebbe rafforzato.
• Ma la Fed ha anche puntato l’attenzione sulla transitorietà della fiammata di inflazione, il cui impatto sul reddito dei lavoratori (consumatori) sarà compensato man mano che i colli di bottiglia legati alle riapertura saranno sciolti e man mano che proseguirà il recupero dei posti di lavoro persi durante la recessione.
• Negli USA vi sono ancora circa 8 milioni di lavoratori senza occupazione rispetto ai livelli pre-Covid. Al ritmo degli ultimi mesi, i disoccupati saranno assorbiti solo nell’autunno 2022.
• È una data lontana, che merita un atteggiamento ancora ultra accomodante. Ma è comprensibile che la Federal Reserve voglia tracciare con anticipo la strada per ridurre lo stimolo, così da evitare corti circuiti comunicativi all’ultimo minuto. Per questo nel FOMC dello scorso 16 giugno, la Fed ha anticipato i tempi del primo rialzo tassi al 2023 (non più 2024).
• Ma prima di alzare i tassi, le Banche Centrali avranno altre occasioni per testare la resistenza delle economie, riducendo gli acquisti di titoli.
• La Fed annuncerà le sue intenzioni in autunno e ridurrà gli interventi, con ogni probabilità, nella prima metà del 2022, per interromperli nella seconda. A quel punto, se l’esperimento sarà riuscito, il rialzo dei tassi nella prima metà del 2023 sarà una naturale conseguenza.
• Per la BCE il calendario va spostato in avanti di tre/sei mesi. Il piano di acquisto titoli è previsto fino a marzo 2022. Poi potrebbe proseguire, magari a ritmo ridotto, per almeno altri sei mesi. E saremmo all’autunno 2022. Per il rialzo tassi, difficilmente la BCE vorrà giocare d’anticipo sulla Fed; in questo caso i mesi centrali del 2023 potrebbero essere quelli candidati per la prima mossa di Francoforte (a patto che nel frattempo tutto sia andato bene nella lotta alla pandemia e nella ripresa dell’economia).
Redazione
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