Demis Todeschini, senior Etf sales specialist di Franklin Templeton

Come affrontate a Franklin Templeton un insieme tanto eterogeneo come quello dei paesi emergenti?

«In effetti all’interno di questa etichetta si trovano realtà estremamente eterogenee. Ci sono nazioni con un elevato livello di sviluppo e molto competitive dal punto di vista tecnologico, così come economie più arretrate. Si trovano, inoltre, paesi che sono importatori netti di materie prime, così come alcuni dei maggiori esportatori di risorse naturali. Un simile livello di diversificazione si è riflesso anche sulle performance dei rispettivi mercati nel corso degli anni. Peraltro, a livello azionario, nel complesso l’insieme degli emergenti è da diversi anni piuttosto avaro di soddisfazioni. Infatti, è dal 2017 che non si assiste a una sovraperformance rispetto alle economie sviluppate. Ciò nonostante, però, sapendo scegliere, si trovano occasioni decisamente interessanti».

Potrebbe fare un esempio?

«Il 2022 si è aperto in maniera decisamente brillante per l’equity brasiliano. Quest’ultimo, peraltro, presenta tuttora caratteristiche comunemente associate a una piazza emergente. Si tratta, infatti, di un grande esportatore di materie prime e ciò si riflette anche nella composizione settoriale del listino. Quest’ultimo, infatti, allo stato attuale vede circa il 42% della propria capitalizzazione formata da aziende di commodity e di materiali di base. Di conseguenza, nel 2022, in un periodo decisamente difficile per i mercati, le azioni brasiliane hanno messo a segno una performance Ytd del 41% in euro. Il Brasile rappresenta, dunque, un eccellente esempio di come sia possibile trovare opportunità fra i paesi emergenti. Ciò anche in una fase come quella attuale, caratterizzata da inflazione e rischi geopolitici, particolarmente sfavorevole a questo gruppo nel suo complesso».

Si parla sempre più di un futuro fatto di una maggiore dispersione dei rendimenti. Pensate che il fenomeno risulterà particolarmente intenso per un indice come l’Msci Em?

«Sì, è proprio uno dei punti più importanti. Se analizziamo l’andamento dell’Msci Emerging Markets  negli ultimi 20 anni, si scoprono diversi elementi interessanti. Ad esempio, la Cina al suo picco, nel febbraio 2021, aveva messo a segno una sovraperformance cumulata di circa +1.500%. Ciò rispetto a un benchmark in cui pesa al suo interno per il 30% circa. Da allora questa sovraperformance si è ridotta a un pur imponente +700%, a causa del giro di vite sul comparto dell’alta tecnologia. Contemporaneamente, però, Taiwan, pur in presenza dei legami che ha con la Cina, è invece risultata fra le migliori piazze. L’azionario locale è infatti cresciuto del 31%,. Ciò grazie a un mix settoriale che vede l’IT in genere, e i semiconduttori nello specifico, occupare il 62% della capitalizzazione.

A proposito di tecnologia cinese, si può cominciare oggi a pensare di tornare a investirci?

«Sicuramente permangono incertezze, sul piano legislativo, nell’enorme comparto tecnologico cinese. A esse si affiancano poi altre problematiche. Fra esse il ruolo ambiguo tenuto dal Paese nei confronti della Russia e le recrudescenze del Covid, oltre che le difficoltà dell’immobiliare. Al tempo stesso sicuramente le valutazioni appaiono oggi molto più attraenti. Per quanto riguarda l’investimento in questo settore, molto dipende dall’orizzonte temporale degli investitori. Su un periodo sufficientemente lungo, infatti, permangono i driver che hanno permesso alla Repubblica Popolare di crescere a tal punto».


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Boris Secciani

Nato a Bologna nel 1974, a Milano ho completato gli studi in economia politica, con una specializzazione in metodi quantitativi. Ho cominciato la mia carriera come broker di materie prime negli Usa, per poi proseguire come trader sul forex. Tornato in Italia ho partecipato come analista e giornalista a diversi progetti. Sono in FONDI&SICAV dalla sua fondazione, dove opero come Responsabile dell'Ufficio Studi. I miei interessi si incentrano soprattutto sul mondo dei tassi di interesse e del reddito fisso, sulla gestione del rischio di portafoglio e sull'asset allocation.