Secondo E-m@ney, gli attuali istituti di moneta elettronica sono destinati ad aumentare il loro campo di azione. Intermediazione di strumenti finanziari, collocamento di piani di accumulo e robo advisory le maggiori opportunità

Germano Arnò è fondatore e ceo, di E-m@ney uno dei maggiori istituti di moneta elettronica maltesi e con una forte attività in Italia. Con lui Fondi&Sicav ha discusso del quadro attuale nel panorama della fintech, delle sue prospettive future e dell’evoluzione di nuovi asset alternativi come le crypto. Molto importante anche la possibilità di assistere alla nascita di nuovi  modelli alternativi nella distribuzione dei prodotti di investimento, fondi comuni per primi.

Innanzitutto che cosa caratterizza un istituto di moneta elettronica? Quale differenza c’è con una banca?

«La normativa europea ha delineato un quadro a tre livelli per quanto riguarda i business bancari offerti da quei gruppi che chiamiamo fintech. Da una parte vi sono gli operatori che godono di una licenza bancaria. Essi, nonostante siano caratterizzati da un’infrastruttura esclusivamente digitale, sono soggetti a tutti i requisiti legislativi di una qualsiasi banca tradizionale. Un istituto di moneta elettronica dall’altra parte offre alla clientela, sia privata, sia aziendale, gli stessi servizi di pagamento di una banca. Di conseguenza chi apre un conto con noi si trova dotato di un normale conto corrente. Ha un Iban, con cui può inviare e ricevere bonifici, staccare assegni, ordinare carte di pagamento, etc. Gli istituti di moneta elettronica però non possono impiegare in attività di finanziamento i depositi ricevuti».

Come viene dunque gestita la liquidità raccolta?

«Per legge essa deve essere detenuta presso la banca centrale. Di conseguenza il denaro presso un conto di un istituto di moneta elettronica è per certi versi più al sicuro rispetto a una banca tradizionale. Certo, i requisiti patrimoniali, nel primo caso, sono più ridotti. Il correntista, comunque, gode delle stesse garanzie sul proprio denaro offerte ai clienti delle banche. Allo stesso tempo, però, evita di essere esposto ai rischi creditizi di queste ultime».

Accennava poi a un terzo livello; da quale tipo di società è composto?

«Si tratta di fornitori di app molto simili a quelle date ai clienti dai soggetti precedentemente descritti. La differenza risiede però nel fatto che in questo caso esse non possiedono nessuna delle due licenze cui ho accennato in precedenza. Questi soggetti, per operare, devono appoggiarsi a chi fornisce servizi bancari con soluzioni white label. Come si può notare si tratta di un mondo estremamente competitivo e destinato a subire un forte processo di consolidamento nei prossimi anni».

Quale è la chiave per risultare vincenti?

«Senz’altro potere proporre servizi ad alto valore aggiunto, che si distinguono da quelli dei concorrenti. Ad esempio, noi permettiamo ai nostri clienti, dietro il pagamento di una fee, di scegliere un iban personalizzato. Oltre al fatto che un istituto di moneta elettronica è soggetto a meno vincoli quando si tratta di dare l’ok a potenziali correntisti. Ricordiamo, infatti, che in Italia c’è un tessuto di piccole e medie imprese, che talora si trova tagliato fuori dal sistema bancario tradizionale».

Vede la possibilità che gruppi fintech vadano a operare in campi finora poco esplorati, quali la distribuzione dei prodotti di investimento, l’advisory e altri?

«La possibilità che ciò accada da qui a qualche anno è decisamente concreta. Pensiamo alla sempre maggiore presenza, nonostante la crisi degli ultimi mesi, di crypto asset nei portafogli degli italiani. Questi ultimi hanno dunque necessità crescenti di convertire velocemente e a costi contenuti tali investimenti in monete fiat e viceversa. Inoltre, l’uso sempre maggiore di tecnologie digitali da parte degli italiani sta spingendo a una maggiore autonomia nella scelta e nell’implementazione dei propri investimenti. Non è difficile dunque immaginare un futuro in cui avremo fintech che offrono, all’interno della stessa piattaforma, un range di servizi. Tra essi i pagamenti, l’intermediazione di strumenti finanziari, fondi communi compresi, la possibilità di optare per piani di accumulo per arrivare al robo advisory».


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Redazione

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