L’equity nipponico può essere un buon acquisto o è solo a buon mercato? Dan Carter e Mitesh Patel, Investment Manager Japanese Equities di Jupiter AM
Sappiamo tutti che la verità fa male, soprattutto quando arriva da chi dovrebbe stare dalla tua parte. Perciò la classe dirigente giapponese deve essere stata colpita dallo schietto giudizio della Borsa di Tokyo (TSE) nel suo report “Sintesi delle discussioni sulle misure per migliorare l’efficacia della ristrutturazione del mercato“, pubblicato all’inizio dell’anno. Due delle considerazioni emerse dal report sono che “in Giappone, ci sono molti casi in cui il management non è consapevole del costo del capitale e del prezzo delle azioni” e che “nell’economia giapponese, la mancanza di un’agevole transizione del personale e delle risorse di capitale verso le aree in crescita ha portato a un prolungato crollo della produttività”.
Particolarmente critiche sono le basse valutazioni dei titoli giapponesi. Circa la metà delle società giapponesi quotate in borsa presenta multipli prezzo/valore contabile inferiori a uno. Statistiche simili sono state sfruttate per anni dai rialzisti del mercato giapponese per tentare gli investitori diffidenti, in quanto l’economicità del mercato implicava ricchi rendimenti. Per la borsa – e per l’establishment economico e finanziario giapponese nel suo complesso – il dato è però preoccupante, sintomo di scarsi rendimenti finanziari e di minime aspettative di cambiamento o di crescita.
Il Giappone ha certamente molte società con multipli bassi che realizzano rendimenti bassi, e relativamente poche che realizzano rendimenti elevati. Ma è anche vero che, a qualsiasi livello di rendimento del capitale, le società giapponesi appaiono a buon mercato rispetto alle loro pari statunitensi. Il confronto con le società europee è meno netto, ma anche in questo caso, a parità di livelli di ROE, le società giapponesi sono più economiche. A nostro avviso questa è un’indicazione di valore e non solo di convenienza.
Perché un’azienda dovrebbe essere più conveniente in Giappone che altrove? Una parte della risposta è probabilmente da ricercare nelle aspettative di crescita: un’economia domestica matura e una popolazione in calo smorzano le aspettative di crescita degli utili aziendali da parte degli investitori. La storia ci dice di mettere in dubbio questa ipotesi: dal 1995, infatti, la crescita delle aziende giapponesi ha superato quella dell’S&P in aggregato, anche se con una volatilità maggiore.
Un’altra ragione risiede nella relativa assenza di sforzi analitici. Quasi l’80% dei titoli quotati sul TOPIX è coperto da meno di 20 analisti, rispetto a poco più del 40% del FTSE All-Share e a meno del 20% dell’S&P. Le strade del mercato giapponese sono davvero poco illuminate.
Il punto di vista della Borsa di Tokyo non è che gli investitori debbano fare incetta dei titoli più economici del Paese. Piuttosto, si tratta di suggerire che con qualche coraggiosa azione manageriale molte di queste società potrebbero diventare migliori e in tal modo attirare valutazioni più elevate. C’è poco di veramente nuovo, ma la buona notizia è che ci sono i primi segnali che questo approccio possa funzionare.
A febbraio, il prezzo delle azioni di Citizen Watch ha subito un’impennata dopo l’annuncio del riacquisto di un quarto delle azioni per ridurre le riserve di liquidità che avevano pesato sui rendimenti. Nello stesso mese, Dai Nippon Printing ha annunciato un nuovo piano a medio termine che prevede un ROE superiore al 10% e un multiplo prezzo/valore contabile superiore a uno. Anche in questo caso, le azioni sono schizzate in alto dopo essere rimbalzate a gennaio sulla notizia che l’investitore attivista statunitense Elliott aveva acquisito una quota di partecipazione significativa. Il mese scorso, il produttore di guarnizioni in gomma e componenti elettronici NOK ha annunciato che avrebbe riacquistato azioni, aumentato i dividendi e ceduto partecipazioni strategiche, facendo salire il prezzo delle sue azioni.
Molti investitori sono comprensibilmente interessati a intercettare la prossima società che farà il botto. Tuttavia c’è il rischio che questa attenzione alla gestione del capitale distragga dall’urgente necessità di una riforma operativa: un’azienda con crescita nulla o negativa e margini ridotti è un’azienda mediocre e probabilmente un cattivo investimento a lungo termine, a prescindere da quanto il bilancio venga riorganizzato in modo intelligente. A nostro avviso sono interessanti quelle aziende che stanno diventando più efficienti dal punto di vista del capitale, ma anche quelle che stanno diventando strutturalmente più redditizie.
I titoli delle aziende giapponesi sono a buon mercato ma riteniamo che siano allo stesso tempo un buon affare, anche se poco conosciuto per ora. Il Giappone offre alcune aziende eccellenti a forti sconti rispetto alle omologhe globali. Tuttavia, il Paese ospita anche alcune aziende decisamente problematiche: la mancanza di un processo di distruzione creativa ha permesso la sopravvivenza di troppe aziende non redditizie. La buona notizia è che l’establishment economico e finanziario giapponese sembra averne abbastanza. Ma diffidiamo dell’euforia prematura: sarebbe un errore lasciarsi inebriare e allentare i criteri di selezione nella speranza di grandi guadagni a breve termine. Non tutte le aziende che possono cambiare lo faranno.
Redazione
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