A cura dell’Economic Team di Payden & Rygel

Dopo la decisione della Banca Nazionale Svizzera di qualche settimana fa, anche la Banca Centrale svedese ha optato per un taglio dei tassi d’interesse di riferimento. Infatti, non solo il tasso di disoccupazione in Svezia si trova ben al di sopra del livello minimo su base annuale, ma anche l’inflazione con tasso di interesse fisso (CPIF), il parametro ufficiale della Riksbank, in marzo è calata al 2,2% su base annua.

Questa metrica, tuttavia, risulta inferiore rispetto al CPI armonizzato core, utilizzato per i confronti tra i vari Paesi, perché non considera l’effetto dell’aumento dei tassi d’interesse sui mutui immobiliari; il CPI armonizzato core, al contrario, include il costo degli affitti, ma esclude il costo degli alloggi di proprietà.

Per questo motivo, il parametro di riferimento della Riksbank potrebbe non tenere in debito conto i costi sostenuti dalle famiglie svedesi intestatarie di mutui a tasso variabile (circa l’80% del totale), nonostante i policymaker ritengano che si tratti di aumenti dei tassi transitori.

A differenza di quanto accade in Svezia, negli Stati Uniti l’indice dei prezzi al consumo tiene conto anche dei costi sostenuti dai proprietari degli immobili con una misura assimilabile a quella degli affitti: il che dimostra quanto la variabile target possa influenzare la politica monetaria e i mercati finanziari.


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Redazione

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