a cura di Pinuccia Parini
Intervista a Monica Defend head of Amundi Investment Institute
Perché avete intitolato il vostro outlook 2025 “Luci in un mondo in chiaroscuro”?
«Perché lo scenario generale è abbastanza spigoloso, visto che, nonostante le prospettive economiche globali per quest’anno siano ancora favorevoli per gli asset rischiosi, sono aumentate le sfide politiche e geopolitiche. Ci sono ancora parecchie incognite cui dare una risposta, in primis le misure che la nuova amministrazione americana adotterà, sia in termini di modalità, sia di intensità. Si tratta di un aspetto fondamentale che avrà diverse ricadute non solo sull’economia e sull’inflazione americana, ma anche sulla politica monetaria e, di conseguenza, sui mercati finanziari. Inoltre, crediamo che si sia di fronte a una serie di anomalie che non possono essere ignorate, come la concentrazione di mercato e il livello crescente di indebitamento pubblico in un contesto macroeconomico favorevole».
Quindi bisognerà prestare attenzione al quadro macro?
«Pensiamo che i temi macroeconomici saranno rilevanti, a partire dal ciclo globale che vediamo in rallentamento (3% nel 2025 e 2026), con l’area emergente che mantiene un premio di crescita sostanziale. Le banche centrali si compiacciono molto di essere riuscite a calibrare le politiche monetarie riducendo l’inflazione e mantenendo un buon livello di crescita, soprattutto negli Stati Uniti. Bisognerà però vedere se questa soddisfazione in merito al lavoro svolto troverà riscontro anche nel corso dell’anno».
Continuerà la riduzione dei tassi delle maggiori banche centrali?
«Le banche centrali negli Stati Uniti e in Europa dovrebbero continuare a tagliare i tassi. Pensiamo che a gennaio la Fed riveda la propria forward guidance, soprattutto perché ci sarà la necessità di capire quali misure saranno implementate dalla nuova amministrazione. La Bank of England sembra più lenta nella riduzione dei tassi, mentre in Giappone ci attendiamo un rialzo. A nostro parere, negli Usa bisognerà monitorare l’evoluzione del mercato del lavoro e l’inflazione, di cui ci attendiamo un percorso di progressiva normalizzazione con, eventualmente, una ripresa inferiore ai livelli passati in un contesto di tariffe crescenti. La politica fiscale, invece, rimane centrale, perché l’elevato rapporto debito/Pil è un problema, anche se la forte crescita sembra al momento contenere la questione, così come riportato da alcuni studi sull’argomento. A ciò si aggiunge il tema della riduzione della tassazione delle imprese, che è particolarmente importante per il mercato azionario, perché potrebbe incentivare l’attività di fusioni e acquisizioni e stemperare l’elevata concentrazione che si è verificata sul mercato».
Ma che cosa farà la Fed se dovesse trovarsi di fronte a un mercato del lavoro in rallentamento e un’inflazione sostenuta?
«Credo che terrà fede al proprio mandato e si prenderà agio e tempo per vedere gli sviluppi della situazione».
Non ritiene che misure potenzialmente più inflative potrebbero avere delle ripercussioni sul mercato obbligazionario Usa?
«Ci sono state alcune dichiarazioni forti durante e dopo la campagna presidenziale. Non penso che la nuova amministrazione sia così poco responsabile da volere mettere in crisi i conti pubblici del Paese e/o ridurre la crescita. È vero, però, che ci sono trend strutturali più importanti per quanto riguarda il debito americano: stanno cambiando gli acquirenti, con una crescita di quelli retail. Quest’ultimo aspetto potrebbe fare aumentare la volatilità sul mercato dei Treasury. Guardando alla curva dei rendimenti, nel 2025 risulta veramente difficile assumere una posizione corta di duration, soprattutto se si guarda a quanto hanno scontato le scadenze a breve».
Di fatto, il ciclo americano ha stupito per la sua resilienza negli ultimi due anni…
«L’America è riuscita, nel febbraio 2023, a tamponare l’allargamento di una crisi finanziaria attraverso l’iniezione di liquidità nel mercato. L’Inflation Reduction Act, a metà dello stesso anno, ha favorito un contesto in cui le imprese hanno spinto sugli investimenti e, nel 2024, il Paese è cresciuto grazie alla forza del mercato del lavoro, cui ha dato un importante contributo la mano d’opera dei lavoratori immigrati. Queste, sinteticamente, sono le ragioni principali della forza degli Stati Uniti. Tuttavia, bisognerà vedere se il consumatore americano, che continua a essere finanziariamente in una posizione solida, nonostante i rialzi dei tassi d’interesse (questa è una delle anomalie cui facevo riferimento), continuerà a godere della stessa condizione anche in un quadro di politica monetaria in allentamento. Per il 2025 prevediamo una lieve decelerazione del Pil (2,1% e 2% nel 2025 e nel 2026), per un raffreddamento del mercato del lavoro e un rallentamento dei consumi. Ma, come menzionato in precedenza, bisognerà vedere l’entità e la sequenza di attuazione delle politiche del governo, anche se riteniamo che il nuovo presidente potrebbe dare priorità alle politiche tariffarie e di immigrazione, seguite da tagli alle tasse e altre modifiche fiscali».
E in merito alla situazione europea?
«È in fase di trasformazione e i report prima di Enrico Letta e poi di Mario Draghi sono un segnale chiaro della volontà di delineare una prospettiva futura per l’Unione Europea. Ciò nonostante, il divario tra le intenzioni della Commissione e la politica dei singoli stati membri rimane un impedimento non facile da colmare, a meno di non trovarsi dinnanzi a una crisi, condizione che ha sempre provocato una reazione da parte dell’Europa. La creazione di un fondo per la difesa forse può essere vista come un segnale di cambiamento. In merito alla crescita, crediamo che l’Europa sia destinata a una modesta ripresa verso la crescita potenziale, che si basa su un’inflazione più bassa e sull’allentamento monetario per sostenere gli investimenti e incanalare i risparmi verso la domanda. Le maggiori economie dell’Eurozona mostreranno andamenti eterogenei e la politica fiscale dovrebbe rappresentare un fattore distintivo significativo. Le elezioni prossime in Germania potrebbero, da questo punto di vista, segnare un ripensamento anche della regola del “debt brake”. Certamente, un fatto rilevante sarà vedere come l’Europa risponderà a una politica commerciale americana più aggressiva. Pensiamo che si possano percorrere due strade. La prima è strategica, sul modello cinese, e riteniamo che sia la migliore da seguire: significa concentrarsi più sulla crescita interna e staccarsi dagli Stati Uniti, da cui la dipendenza commerciale è forte. La seconda, e più probabile, è che ci sia una reazione tattica alla misura americana, da noi valutata come meno efficace».
Se la Germania fosse più accomodante sulla propria politica fiscale, potrebbero verificarsi alcuni impatti sull’Unione Europea?
«La Germania rimane ossessionata dal rischio inflazione, ma un ripensamento della politica fiscale sarebbe benvenuto. Per quanto riguarda la Ue, credo che sia da capire se l’Unione deciderà in favore delle emissioni di Eurobond, così come era avvenuto con Sure durante la pandemia. Penso che questa sia la vera chiave di volta per fare venire meno gli interessi nazionali e fare di più, invece, per il bene comune europeo».
L’Asia, invece, continua a essere uno dei principali motori della crescita globale. Qual è il vostro punto di vista a tale proposito?
«È un contesto eterogeneo che ha sviluppato una rete commerciale interconnessa che potrebbe attutire l’effetto dell’introduzione dei dazi da parte dell’amministrazione americana. I vari Paesi dell’area hanno beneficiato, benché con sfumature diverse, della riallocazione delle catene di fornitura post Covid: ciò ha reso la regione vincente negli ultimi tre anni. Inoltre, non va dimenticato che, all’interno della regione, si trovano alcuni leader nel campo della tecnologia e delle comunicazioni. Le prospettive di un’inflazione relativamente modesta favoriscono politiche di sostegno nella regione. La Cina rimane un paese interessante, perché pensiamo che ci sia una volontà, così come traspare anche dai recenti annunci del Politburo, di rimanere concentrati sulla crescita domestica e di adottare una politica fiscale che vada nella stessa direzione, cioè a favore del consumatore. Il ribilanciamento dell’economia continua (vedi quanto sta avvenendo nel settore immobiliare), la politica monetaria rimane espansiva e, per quanto riguarda la valuta, potrebbe andare sotto pressione se Washington decidesse l’introduzione di tariffe elevate e non progressive. L’India sta rallentando, per una diminuzione degli investimenti, ma il ciclo di crescita rimane sostanzialmente intatto e occupa una posizione meno invisa all’amministrazione americana».
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Pinuccia Parini
Dopo una lunga carriera in ambito finanziario sul lato, sia del sell side, sia del buy side, sono approdata a Fondi&Sicav

