a cura di Pinuccia Parini
Le aspettative di vita sono aumentate, seppure con dinamiche diverse tra i vari paesi. Il cambiamento demografico cui si sta assistendo richiede che siano compiute importanti scelte da parte di ciascun governo e del singolo individuo per affrontare in modo adeguato l’evoluzione in corso e per fare in modo che il sistema, nel suo complesso, rimanga resiliente. Nello specifico, con un’età media della popolazione in aumento, il sistema pensionistico si ritrova più che mai sotto i riflettori ed è cogente il bisogno di affrontare molto concretamente il tema.
Fondi&Sicav ha intervistato sull’argomento Nadia Vavassori, responsabile pension saving funds di Amundi Sgr.
Quanto è importante parlare oggi di previdenza?
«La previdenza risponde sicuramente ai bisogni di un individuo e alla sostenibilità del sistema sociale nel suo complesso. La longevità è un fenomeno indubbiamente positivo che deve essere accompagnato, però, anche dalla ricerca di una qualità della vita in una serie di ambiti che vanno dal benessere, alla salute, dalla prevenzione alla previdenza. Per quanto riguarda quest’ultima, neI sistema attuale il primo pilastro non è più sufficiente a garantire a fine attività lavorativa importi che siano paragonabili, o in qualche modo indifferenti, all’ultima retribuzione. Si tratta di una problematica che è presente a livello globale, non solo nel nostro Paese, e che ha ampie ricadute sul tessuto e sul sistema sociale: una popolazione che nel 2030, secondo le stime, avrà il 25% degli individui sopra i 65 anni d’età e che arriverà al 35% nel 2050, con una forte presenza del genere femminile, richiede che siano adottate misure che rispondano alle necessità di una nuova demografia. È un compito che grava sui governi di tutto il mondo, ma anche la previdenza complementare ha un ruolo significativo nel fornire risposte che non pesino sui conti pubblici, sempre più sotto pressione, e che allo stesso tempo, attraverso le diverse soluzioni finanziarie, possano contribuire all’economia reale di un paese».
In Italia si sta attualmente parlando della possibilità di estendere il periodo di silenzio/assenso della destinazione del Tfr. Ritiene che possa essere un’occasione per approfondire il tema della previdenza complementare?
«La mia posizione è critica a questo proposito e penso che l’iniziativa rischi di non avere successo, perché mancano le premesse di fondo affinché le lavoratrici e i lavoratori possano fare una scelta consapevole. Credo che sia fondamentale fare una campagna informativa sulla previdenza, coinvolgendo tutte le forze presenti sul mercato, tra cui i consulenti finanziari: poiché sono a diretto contatto con i risparmiatori, possono svolgere una funzione rilevante su questo tema. In altre parole, tutti i soggetti coinvolti dovrebbero promuovere insieme iniziative di approfondimento sulla previdenza complementare che utilizzi i diversi strumenti oggi a disposizione per fare formazione, ivi compresi quelli digitali».
Ma è da anni che si parla di questo tema….
«Purtroppo registro una grande confusione sul funzionamento dei fondi pensione complementari, che ha generato anche pregiudizi e false convinzioni. Onde fugarli e potere rispondere a tutti i legittimi quesiti, è indispensabile avere tempo a disposizione per creare un confronto semplice ma completo, in modo che ciascuna persona possa essere adeguatamente informata prima di prendere una decisione che deve essere collocata all’interno di un processo di pianificazione. E, badi bene, non parlo di pianificazione finanziaria, ma di un processo di protezione. La previdenza complementare può essere attivata con modalità molto flessibili, adatte a ogni soggetto coinvolto: può essere portata avanti con piccoli importi e può essere fatta da tutti, a prescindere da età e situazione lavorativa. Quando però si parla di Tfr, di fatto ci si rivolge solo alla platea dei lavoratori dipendenti, escludendo tutta una parte di figure e rapporti professionali che stanno diventando sempre più flessibili e discontinui e che hanno una diversa forma contrattuale. Basterebbe riflettere su come è attualmente variegata l’occupazione per capire che il messaggio deve abbracciare un bacino più ampio di individui, affinché sia coerente con l’obiettivo che la previdenza complementare si pone».
A suo parere si tratta di mancanza di volontà da parte delle istituzioni?
«Credo che la volontà ci sia, perché il problema è compreso a tutti i livelli. La questione è come il tema della previdenza complementare viene affrontato e c’è il rischio di introdurre frettolosamente iniziative spot di portata molto limitata, a causa anche dei vincoli di copertura finanziaria, piuttosto che prendersi il tempo per strutturare una riforma più organica: occorre costruire una cultura previdenziale in tutto il Paese, affinché diventi una scelta informata e strutturale. Nella nostra attività all’interno delle aziende ci troviamo frequentemente di fronte a obiezioni dei lavoratori che mostrano una mancanza di conoscenza dei meccanismi di funzionamento di un fondo pensione, che poi si solidifica in preconcetti».
Che ruolo hanno, in questo contesto, i consulenti finanziari?
«Sono coloro che possono aiutare a spiegare la previdenza complementare e inserire la proposta all’interno della copertura di un bisogno primario e della pianificazione a 360°. Quando un consulente finanziario approccia un cliente con un patrimonio da investire, la prima cosa che deve fare è chiedere se ha già un fondo pensione e se ne ha aperto uno anche per i figli e/o i nipoti. Oltre alle motivazioni già illustrate che rendono opportuno dotarsi di una previdenza complementare, bisogna ricordare i vantaggi: la tassazione agevolata sulle plusvalenze, la possibilità di accompagnare la pianificazione successoria e il fatto di non rientrare nei beni pignorabili».
Ma c’è una parte di risparmiatori che non è raggiunta da queste figure professionali e che non ha sufficienti risorse finanziarie a disposizione. Che cosa fare in questi casi?
«Il segmento retail può essere raggiunto dalle reti bancarie o da quelle con una vasta capillarità territoriale. L’erosione del potere d’acquisto delle famiglie pone alcuni limiti oggettivi alla capacità di risparmiare, ma ribadisco che un fondo pensione aperto può essere alimentato anche con piccoli versamenti senza obbligo di importo minimo. Aprirlo per i propri figli consente loro di maturare un’anzianità di versamento che può essere utile, ad esempio, per usufruire di anticipi su quanto versato. Esistono poi altre modalità che potrebbero favorire in modo indiretto la sottoscrizione dei fondi pensione. Mi piace spesso citare, sotto questo aspetto, alcune fattispecie in cui le banche hanno offerto la possibilità di stipulare mutui agevolati prima casa per i giovani vincolando una parte minima dell’importo erogato all’apertura di una posizione previdenziale. Si tratta di un “nudge” che può servire da stimolo per i risparmiatori».
In precedenza ha menzionato la vostra attività all’interno delle aziende. Come è cambiata negli anni la percezione della previdenza complementare?
«Mi occupo di questo tema oramai da più di 20 anni e, in questo arco di tempo, ho avuto l’opportunità di vedere come è cambiato l’atteggiamento delle imprese. Attualmente ci sono segnali positivi rispetto al recente passato in cui il rallentamento del contesto economico si è riflesso, sia sul mercato del lavoro, sia sulla crescita salariale. La previdenza complementare è un costo per i datori di lavoro e le condizioni di mercato influenzano la disponibilità a introdurre in azienda un costo aggiuntivo soprattutto quando, come in Italia, il tessuto industriale è composto prevalentemente da Pmi. Rincuora tuttavia l’abbrivio degli ultimi 12 mesi, probabilmente grazie alla diffusione del welfare aziendale, di cui il fondo pensione fa parte, e, in particolare per le grandi e medie imprese, l’introduzione dei bilanci di sostenibilità, all’interno dei quali il welfare è importante. In base alla mia esperienza, devo rilevare che anche nelle società in cui c’è la possibilità di aderire a un piano previdenziale integrativo, e Amundi è presente, il tasso di adesione non supera il 46% e questa percentuale dà una dimensione di quanto lavoro debba essere ancora fatto a livello di singolo individuo, anche laddove il datore di lavoro dia l’opportunità e un contributo per costruirsi una pensione complementare».
Che cosa potrebbe fare la politica?
«In generale, ci sono moltissime cose che possono essere fatte, ma tutto ha un costo. Nel momento in cui in Italia ci troviamo spesso a dovere fare fronte alle emergenze, l’urgenza di una riforma della previdenza slitta nella gerarchia delle priorità. Inoltre, intervenire in materia ha ricadute su svariati aspetti: gettito fiscale, equilibrio con il primo pilastro, incentivi per le aziende e molto altro ancora. Bisogna provare a percorrere strade nuove e anche a inventarle: per esempio, di recente si è parlato della possibilità di unire l’anzianità maturata nella previdenza complementare a quella della previdenza di primo pilastro per avere accesso all’età pensionabile con qualche sconto».
leggi il numero 170
Pinuccia Parini
Dopo una lunga carriera in ambito finanziario sul lato, sia del sell side, sia del buy side, sono approdata a Fondi&Sicav

