Il soddisfacimento del fabbisogno di energia elettrica passa dalle rinnovabili e dal rilancio del nucleare. Matteo Ramenghi, chief investment officer di UBS WM in Italia
I consumi di elettricità in Italia e in Europa sono diminuiti rispetto al periodo precedente la crisi finanziaria globale del 2008 e di recente hanno oscillato su valori inferiori ai massimi raggiunti all’epoca. Sicuramente ha giocato un ruolo positivo l’enfasi data all’efficienza energetica ma, almeno in parte, questo andamento è stato dovuto anche alla delocalizzazione di attività produttive.
Gli andamenti tutto sommato stagnanti dei consumi elettrici negli ultimi anni hanno contribuito a distogliere l’attenzione dalla prospettiva di un brusco cambiamento di rotta. Infatti, sempre più sostituiamo altre fonti di energia con l’elettricità: mobilità elettrica, robot e automazione, riscaldamenti, induzione ecc. Tanto che negli Stati Uniti si parla di «electrification of everything».
Se è vero che le vendite di auto elettriche sono diminuite di recente, anno dopo anno aumenta il numero dei veicoli elettrici in circolazione e l’Unione europea ha ribadito la scadenza del 2035 per lo stop all’immatricolazione di veicoli con motore endotermico. La diffusione dell’intelligenza artificiale rafforza ulteriormente la tendenza verso un maggiore consumo di elettricità perché i data center sono per loro natura energivori, in quanto in quanto richiedono costantemente energia elettrica e raffreddamento. A livello globale la crescita della domanda di elettricità continua ad accelerare, mentre si fanno sempre più urgenti le azioni per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Il mix energetico si sposta sempre più verso le rinnovabili che però potrebbero non bastare a soddisfare la domanda.
Nonostante la rapida crescita, soprattutto in un contesto di aumento dei consumi elettrici, sembra difficile che le rinnovabili da sole possano consentire di raggiungere gli obiettivi di contenimento delle emissioni di CO2. Per questo si riscontra un crescente interesse nei confronti del nucleare che, secondo dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), rappresenta oggi circa il 10% della produzione di elettricità a livello mondiale, in crescita del 2% annuo. Da un punto di vista ambientale, l’energia nucleare è un’alternativa a basse emissioni di anidride carbonica rispetto ai combustibili fossili. Infatti, alla conferenza ONU sui cambiamenti climatici di novembre 2024, la COP29, 31 Paesi hanno firmato un impegno non vincolante a triplicare la loro capacità nucleare.
Oltre a rimodernare le centrali nucleari esistenti, l’innovazione si muove su diverse direttrici, quali i mini reattori nucleari, i cosiddetti small modular reactor (SMR), le centrali di quarta generazione e la ricerca sulla fusione nucleare. A livello mondiale ci sono 440 centrali nucleari operative, principalmente nei Paesi industrializzati. Sebbene ci siano ancora alcuni Paesi che non si stanno espandendo nel nucleare, a livello globale sono attualmente in costruzione 65 centrali nucleari, con la più alta concentrazione in Cina, India, Turchia ed Egitto. La Cina intende costruire due nuovi reattori l’anno, con tempi di costruzione di sei anni, meno della metà di quelli europei. Invece, proprio per alimentare i propri data center, negli Stati Uniti Google, Microsoft e Amazon hanno firmato contratti con società del settore per realizzare nuovi reattori nucleari e mantenerne in funzione altri già esistenti.
Se il nucleare è ben gestito, i rischi vengono descritti dagli esperti come contenuti. Tuttavia, in seguito al disastro di Cernobyl del 1986 e alla catastrofe di Fukushima nel 2011, l’energia nucleare è diventata un tema controverso in molti Paesi, soprattutto in Europa. L’Europa produce complessivamente il 20% di elettricità con il nucleare, mamin un contesto molto eterogeneo: per la Francia rappresenta oltre il 70% del totale, mentre Italia, Germania e Spagna hanno deciso di abbandonarlo. Delle quasi 100 centrali in Europa occidentale, quasi due terzi sono in Francia, una decina nel Regno Unito e quattro in Svizzera. In Italia il nucleare è stato bandito dal referendum del 1987. A distanza di così tanto tempo l’opinione pubblica appare divisa: secondo un sondaggio realizzato da SWG quasi un anno fa, i favorevoli all’utilizzo in Italia delle nuove tecnologie nucleari variano tra il 49 e il 55%, ma solo un terzo dei partecipanti si è dichiarato sufficientemente informato sul tema. Di recente il governo italiano ha proposto un disegno di legge per reintrodurre il nucleare nel mix energetico come complemento alle energie rinnovabili, con l’obiettivo di coprire tra l’11% e il 22% della domanda elettrica entro il 2050 utilizzando tecnologie recenti come i piccoli reattori modulari. I maggiori consumi per l’utilizzo di big data e veicoli elettrici e gli obiettivi per la transizione energetica potrebbero favorire un ritorno al nucleare per i Paesi che l’hanno abbandonato, ma anche questa forma di energia presenta
alcuni punti deboli da superare.
I costi di costruzione di una centrale nucleare sono elevati e spesso non preventivabili in modo preciso. Per esempio, in Finlandia (Olkiluoto 3), Francia (Flamanville Unit 3) e nel Regno Unito (Hinkley Point C) ci sono stati notevoli ritardi e costi nettamente superiori alle attese. Occorre anche tenere presente che l’energia nucleare non è completamente immune da rischi geopolitici, con le risorse di uranio concentrate in pochi Paesi. Kazakistan, Canada e Namibia rappresentano il 70% della produzione di uranio, seguiti da Australia, Uzbekistan, Russia, Niger e Cina. Inoltre, il problema delle scorie nucleari non è del tutto risolto. Le barre di uranio, sebbene di volume contenuto, restano radioattive per secoli e devono essere stoccate in contenitori speciali a circa mezzo chilometro sotto terra in zone non sismiche, il che esclude gran parte dell’Italia. Francia e Germania stanno costruendo nuove strutture di immagazzinamento.
Il dibattito sull’energia nucleare sembra quindi destinato a rimanere vivo in Europa e in Italia, per la quale potrebbe rappresentare l’opportunità di rendersi più indipendente e competitiva da un punto di vista energetico, abbattendo le emissioni di anidride carbonica. Intanto, fuori dall’Europa gli investimenti stanno già correndo, guidati da Stati Uniti e Cina.
Redazione
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