A cura di Greg Meier, Director, Senior Economist, Global Economics and Strategy di Allianz Global Investors
Nel 2025, ci siamo progressivamente concentrati sui potenziali rischi dei cambiamenti di rotta in corso a Washington DC. Non ci sorprendono quindi né la recente volatilità scatenata dalla guerra commerciale né i commenti del Presidente USA circa un imminente periodo di “transizione” economica.
Per i più pessimisti, la “transizione” di cui parla Trump fa rima con “recessione”. Il ragionamento è il seguente. I tagli alla spesa pubblica equivalgono a una stretta fiscale, per lo meno nel breve periodo. Inoltre, i dazi doganali alimentano incertezze e inflazione, rendendo più difficile per le aziende assumere personale, investire e pianificare l’attività con precisione.
Al contempo, le deportazioni di massa potrebbero far salire prezzi e stipendi. Ma anche intaccare la domanda al consumo statunitense, dato che la maggior parte degli immigrati compra prodotti localmente anziché importarli dall’estero.
Queste sono in sostanza le motivazioni comuni che alimentano le discussioni sulla recessione. Si tratta di preoccupazioni in linea con quanto abbiamo già anticipato e del tutto ragionevoli. Eppure non tengono conto di un punto fondamentale.
Perché mai il Presidente Trump dovrebbe rischiare consapevolmente una recessione? Che strategia si cela dietro al suo metodo? Sta emulando il Presidente argentino Javier Milei e il suo “approccio della motosega”? Che cosa potrebbe andare bene?
Iniziamo col dire che il Presidente Trump deve agire subito, perché adesso può permettersi di prendere degli impegni e ha tutto il tempo per rimediare a eventuali danni prima delle elezioni di metà mandato del 2026.
I media danno grande spazio alla guerra commerciale scatenata da Trump, ma molte delle politiche del neo Presidente USA sono di fatto orientate alla crescita. Basti pensare agli sgravi fiscali, alla deregulation, al rimpatrio della produzione, ecc. Queste manovre potrebbero rafforzare l’economia nel tempo.
Precisiamo che, qualora la volatilità legata alla guerra dei dazi dovesse superare la poco chiara “soglia del dolore” di Trump, questi potrebbe facilmente annunciare a sorpresa buoni progressi su un accordo. Potrebbe anche essere successo mentre andiamo in stampa, o forse sta succedendo adesso mentre leggete.
La cosa interessante è questa: i legittimi timori per la crescita degli Stati Uniti potrebbero penalizzare i mercati, ma d’altro canto potrebbero accelerare i tempi per un allentamento della politica monetaria da parte della Federal Reserve e un aumento degli stimoli fiscali. Questo permetterebbe al Presidente Trump di dire agli elettori di aver mantenuto le promesse prima delle elezioni di metà mandato del 2026.
Redazione
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