Intervista a Uriel Saragusti, fund manager responsabile della divisione crediti di La Financière de l’Échiquier

Quali prospettive vedete per i mercati sui quali investite?

«Il nostro universo investibile è il credito europeo, sia investment grade, sia high yield. Riteniamo che oggi questo insieme di titoli offra molte occasioni, in particolar modo fra le emissioni caratterizzate da una duration intermedia, intorno a cinque anni.

I corporate investment grade, con i rendimenti che attualmente offrono, costituiscono un buon hedging per il rischio azionario di portafogli multi-asset. Anche se si tratta di un segmento del reddito fisso che offre attualmente spread piuttosto contenuti: per questa ragione bisogna essere decisamente selettivi.

Uriel Saragusti

Ad esempio, al momento nel nostro portafoglio manteniamo un’allocazione limitata sui settori ciclici come i bancari e le aziende della chimica, perché non riteniamo che i rendimenti offerti remunerino adeguatamente il livello di rischio.

In compenso, vediamo diverse buone occasioni nell’ambito dei corporate hybrid, obbligazioni subordinate investment grade di emittenti non bancari e non assicurativi».

Che cosa sta succedendo, invece, nel mercato degli high yield?

«In assenza di scenari estremi, il tasso di default dovrebbe rimanere piuttosto contenuto. Tutto ciò perché, prima del 2028-2029, non si avranno grandi necessità di rifinanziamento da parte di emittenti che in buona parte presentano un quadro di maggiore solidità rispetto al passato. Molti gruppi hanno approfittato dei rendimenti bassissimi, delle garanzie finanziarie e della struttura delle curve decisamente piatta durante l’era Covid per raccogliere un’ingente quantità di capitali.

Il mercato primario ha dunque visto volumi di attività ridotti proprio quando i tassi si stavano rialzando velocemente. Se però le politiche della presidenza Trump dovessero causare un’ondata di panico generale sui mercati, allora la correlazione fra un azionario in forte discesa e gli high yield potrebbe diventare molto elevata».

Che cosa sta emergendo in Europa a livello di politica monetaria e di evoluzione macro in queste, indubbiamente difficili, settimane?

«Di recente abbiamo assistito a movimenti di estrema ampiezza sul Bund decennale, in seguito all’annuncio da parte del governo tedesco del piano di spesa focalizzato su infrastrutture e difesa da 500 miliardi di euro, cui dovrebbero fare seguito altri 500 miliardi in armamenti.

Nello specifico, il rendimento del benchmark dei governativi tedeschi si è rialzato in un giorno di 30 punti base: si tratta di un fenomeno che non accadeva dal 1990. Viviamo, dunque, in un periodo di grande incertezza, in cui gli investitori a un certo punto hanno temuto che si stesse assistendo all’inizio di un surriscaldamento dell’economia dell’Eurozona.

Fino a poco tempo fa, i mercati puntavano su un deciso stimolo all’economia e su un’accelerazione dell’inflazione in Europa, grazie alla futura spesa militare, a una visione molto più fredda dell’economia, appesantita dal caos generato dalle politiche commerciali di Donald Trump.

In meno di due mesi, tuttavia, le aspettative sui tassi della BCE sono passate da una fase di sostanziale stabilità a nuove ipotesi di riduzione del tasso sui depositi. Ci aspettiamo che la Banca centrale europea adotti una linea sempre più accomodante, a causa del rallentamento economico che l’incertezza sul fronte commerciale con ogni probabilità comporterà».

Qual è dunque la vostra visione?

«Riteniamo che l’inflazione continui a essere sulla buona strada per tornare al 2%, con una crescita economica che difficilmente accelererà significativamente. Anche senza ipotizzare uno scenario estremo di guerra commerciale, è difficile immaginare rilevanti sorprese macro positive.

La Germania è infatti l’unico paese, fra le grandi economie europee, che si può permettere una forte espansione fiscale, che, peraltro si dovrebbe tradurre in un incremento del Pil nell’ordine dello 0,2-0,3%.

Inoltre, la situazione potrebbe evolversi in una maniera diversa rispetto allo scenario intermedio: se, ad esempio, le tariffe portassero a una recessione e si arrivasse a una pace fra Ucraina e Russia, con il ritorno sul mercato europeo del gas di quest’ultima (un fattore alquanto negativo per i corsi dei prodotti energetici), allora gli incentivi per ulteriori tagli dei tassi diventerebbero ancora più forti».