In Europa, un’integrazione più profonda, una maggiore attenzione alla competitività e la riduzione delle barriere commerciali interne potrebbero favorire e supportare le performance azionarie nel lungo periodo
Paul Doyle, Responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments
A causa degli ostacoli alle attività di fusione e acquisizione in Europa, le aziende della regione non sono riuscite a contrastare l’egemonia di quelle statunitensi. Se nel 2010 le operazioni in Europa superavano quelle degli Stati Uniti, oggi sono inferiori del 25%.

La situazione deve cambiare se le aziende europee vogliono raggiungere dimensioni di scala. Anche se i dazi statunitensi sui beni europei sono stati dimezzati rispetto al 20% proposto, al 10% sono ancora nove volte superiori a quelli di inizio anno.
Le esportazioni di automobili, dal canto loro, sono ancora soggette a un dazio del 25%.
Inoltre, i dazi punitivi nei confronti della Cina hanno messo sotto pressione il terzo partner commerciale dell’Europa. Ciò significa che i beni cinesi precedentemente destinati al mercato statunitense sono stati reindirizzati verso l’Europa, generando deflazione, anche prima che le condizioni finanziarie si inasprissero con l’apprezzamento dell’euro, che da dicembre ha registrato un aumento del 10% rispetto al dollaro.
Considerata l’attuale imprevedibilità degli Stati Uniti, l’Europa deve approfondire altri legami commerciali, in particolare con il Regno Unito e la Svizzera. Le barriere non doganali tra i paesi europei, che equivalgono a una tassa del 44% sulle merci e a una del 110% sui servizi, sono un punto centrale.
Ciò non basterà a salvare l’Europa nel breve termine. Ma rafforzerà l’attrattiva di un investimento nelle azioni europee: riforme strutturali, maggiore integrazione del mercato unico e rinnovato sostegno monetario e fiscale.
Redazione
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