A cura di Gilles Moëc, Chief Economist di AXA Investment Managers
Ora che la Fed ha chiarito che non offrirà alcun sostegno preventivo, la pressione sulla Casa Bianca per una de-escalation sul fronte commerciale si fa più intensa. Il vero banco di prova saranno ovviamente i negoziati con la Cina. Scott Bessent ha detto che i primi colloqui, tenutisi a Ginevra, come stati caratterizzati da “progressi sostanziali”, ma senza chiarirne i contenuti, almeno fino a domenica sera.

Tuttavia, l’accordo con il Regno Unito rappresenta un primo segnale che i negoziati possono portare a risultati concreti. Detto ciò, l’intesa tra Regno Unito e Stati Uniti non sarà facilmente replicabile.
Dubitiamo che altri Paesi, anche tra gli alleati strategici di Washington, otterranno condizioni favorevoli quanto quelle concesse a Londra.
Anche se l’accordo UK-USA dovesse diventare un modello generale, non si tratta di una proposta particolarmente allettante. Il “dazio di base” del 10% (ancora quattro volte superiore rispetto alla media pre-Trump) appare non negoziabile. Salvo per piccole eccezioni marginali, e le concessioni statunitensi hanno limiti ben definiti.
Il Regno Unito potrebbe aver ottenuto una certa tutela per l’attuale volume di esportazioni della sua industria automobilistica verso gli USA. Ma di fatto si ritrova ora con un tetto a qualsiasi futura espansione.
Anche l’esclusione parziale da dazi su acciaio e alluminio è vincolata a “condizioni di sicurezza” che, a nostro avviso, implicano un disaccoppiamento da input e investimenti cinesi.
Inoltre, sorprende che non sia ancora iniziato un dibattito nel Regno Unito sull’eventualità che i trattamenti preferenziali per i prodotti statunitensi possano rendere più difficili i negoziati con Bruxelles per un migliore accesso al mercato Ue, ben più centrale per l’economia britannica.
Un punto cruciale, tuttavia, è che nell’accordo con gli Stati Uniti non è stato previsto alcun contropartita sui servizi, nonostante la disponibilità di Londra a rivedere la propria Digital Services Tax. Un’estensione della guerra commerciale al settore dei servizi sarebbe un ulteriore colpo alla globalizzazione.
L’intensità del commercio internazionale di beni industriali ha cominciato a rallentare da oltre quindici anni: la “fase entusiasta” della globalizzazione industriale era già finita, ben prima dell’ascesa del mercantilismo nella politica statunitense.
Al contrario, il commercio globale di servizi continua a progredire. E gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse a promuovere il libero scambio nei servizi, data la loro posizione dominante in questo ambito.
Il rischio potrebbe arrivare da chi cercherà di reagire al protezionismo americano sui beni. Tuttavia, considerato che il commercio di servizi rappresenta una quota del PIL maggiore rispetto a quella degli Stati Uniti, questa strategia potrebbe non rivelarsi nell’interesse degli europei.
Redazione
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