Angelika Millendorfer, Responsabile Emerging Markets di Raiffeisen Capital Management

I mercati azionari e obbligazionari dei paesi emergenti hanno continuato a registrare un andamento positivo negli ultimi tempi. Sebbene la minaccia di un aumento dei dazi da parte dell’amministrazione Trump non sia affatto scongiurata e dalla Casa Bianca continuino a giungere nuove minacce in tal senso, i mercati ne sembrano sempre meno impressionati.

Angelika Millendorfer

Massimi storici per le azioni nonostante le turbolenze sui dazi

I cali in parte consistenti registrati dai mercati azionari dopo l’annuncio dei dazi da parte di Trump, definito da quest’ultimo come una “liberazione”, sono stati nel frattempo quasi completamente recuperati.

In molti Paesi nelle ultime settimane sono stati addirittura raggiunti nuovi massimi storici o almeno nuovi massimi annuali.

Da un lato, sui mercati si è affermata la convinzione che solo una minima parte degli annunci di Trump avrà effettivamente seguito. E che gli effetti dovrebbero essere piuttosto limitati. Dall’altro, a differenza degli ultimi anni, ora si registra un aumento dei capitali che (ri)affluiscono dagli Stati Uniti verso l’estero. Mentre quasi non vi è afflusso di nuovi capitali dall’estero verso i mercati finanziari statunitensi.

Ciò a sua volta mette sotto pressione il dollaro statunitense che, storicamente, se più debole sostiene le azioni e le obbligazioni dei paesi emergenti. Finora ciò sembra rimanere valido. Ma non significa che questo “vento favorevole” debba necessariamente continuare, anche se il dollaro dovesse continuare a indebolirsi (scenario per il quale ci sono già diversi segnali).

Finora gli impatti economici restano limitati

Sia l’economia statunitense sia quelle cinese ed europea restano sostanzialmente indifferenti alle “capriole tariffarie” (anche se numerosi effetti straordinari e distorsioni invitano alla cautela nella valutazione dei dati). La maggior parte degli analisti ritiene tuttavia che nel corso dell’anno si manifesteranno alcuni effetti negativi e un rallentamento dell’economia. Soprattutto perché la situazione con i principali partner commerciali degli Stati Uniti rimane incerta. Essi non prevedono tuttavia una recessione globale o una grave recessione. E nemmeno i mercati finanziari anticipano il verificarsi di un tale scenario.

Cina: una crescita che convince a metà

La Cina, vero principale obiettivo degli attacchi tariffari di Trump, ha finora sorpreso leggermente al rialzo, ma sotto la superficie permangono i ben noti problemi. Il settore immobiliare continua a fungere da freno. Mentre in alcuni settori dell’industria manifatturiera si osservano evidenti sovra-capacità produttive.

Gli ultimi dati sull’inflazione confermano le difficoltà del comparto industriale cinese, con un marcato calo dei prezzi alla produzione (deflazione) e un aumento solo marginale dei prezzi al consumo. Contrariamente ad alcune valutazioni divergenti, i consumi privati risultano in crescita, sebbene a un ritmo più lento rispetto alle aspettative di Pechino. E, soprattutto, insufficiente a compensare un eventuale calo della domanda estera, in particolare dagli Stati Uniti, ma potenzialmente anche dall’Europa. Ciononostante, per il 2025 è attesa una crescita compresa tra il 4,5% e il 5%. Tuttavia, il dato numerico sulla crescita dice poco sulla qualità di tale espansione, considerazione che vale per tutti i Paesi, non solo per la Cina.

Le obbligazioni in valuta locale stanno tornando sotto i riflettori?

Dopo essere state fortemente evitate dagli investitori stranieri negli ultimi anni, le obbligazioni in valuta locale dei paesi emergenti sembrano riconquistare l’attenzione degli investitori. Ciò vale non solo per la loro performance nel corso dell’anno, ma anche per i flussi di capitale, che negli ultimi mesi hanno registrato per la prima volta dopo molto tempo afflussi netti significativi. Naturalmente potrebbe trattarsi solo di un “fuoco di paglia” e di una tendenza di breve durata.

Tuttavia, diversi fattori indicano che i titoli obbligazionari in valuta locale potrebbero ottenere buoni risultati nei prossimi trimestri e forse anche negli anni a venire, soprattutto rispetto al dollaro e alle obbligazioni denominate in dollari. Da un lato, molte valute dei paesi emergenti presentano valutazioni fondamentali favorevoli. Dall’altro, l’indebolimento del dollaro apre la strada a tagli dei tassi d’interesse nei mercati emergenti. E se dovesse verificarsi un significativo rallentamento della crescita globale, questo potrebbe sostenere l’intero comparto obbligazionario.

Resta tuttavia fondamentale, anche in un contesto di mercato favorevole, una buona selezione delle valute e degli emittenti.

Rally azionario con punti interrogativi

Per quanto riguarda i titoli azionari dei mercati emergenti, da un lato esiste un potenziale di rialzo legato al calo dei tassi d’interesse; dall’altro permane il rischio di delusione sul fronte degli utili. I recenti aumenti degli utili delle aziende dei mercati emergenti sono stati trainati principalmente dalle società dei settori tecnologico, dei media e delle telecomunicazioni. Mentre la maggior parte degli altri comparti ha registrato una crescita nulla o marginale. Sul versante positivo, tuttavia, emergono segnali che indicano come i margini di profitto possano aver toccato il punto più basso e siano vicini a un’inversione di tendenza al rialzo.

Una minor domanda dagli USA?

In questo contesto, resta da capire quanto sarà marcato l’eventuale calo della domanda di beni e servizi negli Stati Uniti, non solo per effetto dell’aumento dei dazi, ma anche per una possibile riduzione della spesa pubblica rispetto ai livelli dell’amministrazione Biden.

Su quest’ultimo punto, le opinioni divergono fortemente circa l’impatto della legge fiscale e di spesa recentemente approvata dal Parlamento (il “One Big Beautiful Bill Act”, in breve OBBBA): alcuni prevedono nuovi deficit elevati, che sosterrebbero la crescita. Mentre altri ipotizzano un calo dei disavanzi, che potrebbe invece rallentare l’economia.

Se la crescita globale dovesse indebolirsi in modo più marcato, ciò peserebbe sugli utili della maggior parte delle aziende, non solo nei Paesi industrializzati ma anche in quelli emergenti, rappresentando un freno per i mercati azionari. L’aspetto positivo è che i tagli dei tassi d’interesse potrebbero offrire un “effetto di supporto”.


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Stefania Basso

Laureata all'Università Statale di Milano, dal 2006 collaboro con Fondi&Sicav. Lunga esperienza nel settore del risparmio gestito come marketing manager presso Franklin Templeton Investments e J.P. Morgan Fleming Am a Milano e a Lussemburgo. Breve esperienza presso Lob Media Relations come ufficio stampa per alcune realtà finanziarie estere. In tutto il mio percorso professionale ho lavorato a stretto contatto con persone provenienti da diverse parti del mondo, che mi hanno permesso di avere un approccio dinamico e stimolante e di apprendere attraverso il confronto con realtà differenti.