EM, la ricerca del valore nella crescita. Fondi&Sicav ha chiesto a Rohit Chopra, portfolio manager/analista del team Emerging Markets Equity ed Emerging Markets Core Equity di Lazard Asset Management le ragioni del ritorno d’interesse degli investitori nei confronti dei mercati emergenti

Quali sono le sue considerazioni in merito alla performance positiva dei mercati azionari emergenti di quest’anno?
È da circa 26 anni che seguo questi mercati e ciò mi ha permesso di vedere le diverse fasi che essi hanno attraversato. In questo arco di tempo, ritengo che l’atteggiamento degli investitori nei confronti dei mercati emergenti sia cambiato. Nel 2001, quando la Cina entrò nell’Organizzazione mondiale del commercio, ad esempio, la percezione generale era che l’universo emergente fosse un blocco monolitico, con la Repubblica Popolare che trainava la crescita grazie agli investimenti fissi e alle esportazioni di merci verso l’America. Il forte sviluppo cinese aveva guidato al rialzo il mercato delle materie prime e migliorato le bilance dei pagamenti di diversi paesi emergenti. Poi, negli ultimi dieci anni c’è stata un’inversione di tendenza che è iniziata, nel 2013, con il “taper tantrum” (ossia l’annuncio da parte della Fed di volere ridurre il suo programma di acquisto titoli). Da quel momento il vento di coda che aveva favorito questa asset class ha iniziato a soffiare al contrario.
In che senso?
Il dollaro Usa aveva cominciato a rafforzarsi, il differenziale di crescita tra economie emergenti e avanzate si era ristretto, con le prime che registravano un indebolimento della tendenza. E poi ci sono stati gli ultimi 10 anni durante i quali è stato l’eccezionalismo americano a dominare le piazze finanziarie globali. E quando un mercato, come quello statunitense, arriva a pesare quasi il 70% di un indice globale, non c’è da stupirsi che gli investitori non sentano la necessità di investire nei paesi emergenti.
Cosa rende l’asset class interessante?
La debolezza relativa del dollaro, indubbiamente. Tuttavia ritengo che, in prospettiva, ci sia una grande differenza rispetto al passato: mi attendo non un ciclo di convergenza delle aree emergenti che le renda altamente correlate le une con le altre, bensì un’opportunità idiosincratica con un attrattivo potenziale in termini di rischio/rendimento. Se si considera, ad esempio, la regione asiatica, basterebbe pensare al programma Value-up della Corea che punta a un miglioramento della corporate governance delle aziende ed è trainato dalla demografia del paese e dalla graduale privatizzazione del mercato locale. Nella stessa Cina si sta assistendo a una riorganizzazione dei processi d’investimento che ora sono indirizzati verso ambiti quali la tecnologia, la robotica, la mobilità e la sanità: le nostre aspettative sono che ci sarà un sostegno sempre più mirato del governo verso questi ambiti piuttosto che l’annuncio di un massiccio programma di stimolo dei consumi. Anche l’India è una nazione con dinamiche degne di nota, a partire da una sostenuta e robusta espansione economica. Nel breve termine, è possibile che le aspettative abbiano superato la realtà, ma le previsioni sono che l’economia indiana, alla fine di questo decennio, diventi la terza più grande al mondo: il PIL pro capite ha raggiunto 2500-2800 dollari, un livello da cui, solitamente, si assiste a una diversificazione dei consumatori. In questi ultimi anni si è assistito all’introduzione di una serie di misure e iniziative che, oltre a migliorare la rete delle infrastrutture, sono indirizzate a sostenere la crescita del settore manifatturiero e promuovere in loco la produzione di alcune componenti delle catene di approvvigionamento.
In termini di corsi borsistici, come spiega la sottoperformance dei mercati emergenti verso quelli sviluppati?
La diminuzione dei tassi di crescita economica e della redditività operativa delle aziende dei paesi emergenti rispetto a quelli sviluppati che ha prodotto circa il 40% di sconto in termini di valutazione dei primi rispetto ai secondi. Ora, però, c’è la debolezza del dollaro, fattore positivo per le passività a lungo termine denominate in questa divisa, e il contesto favorevole offerto dai mercati domestici, con carry elevati e tassi d’ interesse reali positivi. È il caso del Brasile, per citare un altro esempio, con tassi al 15%, inflazione al 5% e aspettative di discesa del costo del denaro che dovrebbe favorire la crescita del Paese e anche quella del mercato azionario. Ma attenzione, c’è un aspetto che non va dimenticato: non si investe in questa asset class perché si ritiene che possa essere un “beta player” sulla crescita: si tratterebbe di un approccio che non aiuta a generare alpha. La volatilità che ogni singolo mercato esprime in questo universo è il riflesso di condizioni e politiche interne e di dinamiche che devono essere lette e comprese, perché le ragioni dei tassi elevati in Brasile è diversa da quella della Turchia. Fatta questa premessa, in Lazard quando investiamo consideriamo i fondamentali e guardiamo ai modelli di business delle aziende, esaminandone le valutazioni di mercato.
A proposito di valutazioni, quelle dei mercati emergenti sono state, in termini relativi, sempre contenute a quelle degli sviluppati. Come giudica il loro attuale livello di appetibilità?
Il mercato cinese, un anno fa, era pervaso dal pessimismo e i titoli azionari avevano conosciuto un de-rating significativo. Poi il governo cinese si è riavvicinato agli imprenditori, c’è stato il caso DeepSeek e gli investitori hanno ricominciato a riconsiderare la piazza finanziaria. E a spingere i corsi dei titoli al rialzo. Credo che le valutazioni siano un parametro da considerare, ma insieme alla produttività finanziaria. Il nostro approccio al mercato segue due modelli. Nel primo caso ricerchiamo quei titoli che nel loro prezzo non riflettono correttamente il livello di redditività generato: sono, aziende che hanno le capacità di migliorare le dinamiche dei loro ritorni e hanno una migliore gestione del capitale. Per fare un esempio, ci sono molte società in Corea e in Brasile che trattano a multipli molto vicini al rapporto prezzo/dividendo. Nel secondo, invece, guardiamo alle imprese che hanno la possibilità di una crescita composta degli utili ma che vengono scambiate a sconto, come nel caso di alcune società indiane di media capitalizzazione o della fin-tech in America Latina o società tecnologiche/Ev cinesi.
Cosa significa oggi investire nei mercati emergenti?
Credo che gli investitori che prendono in considerazione questa classe di attivo debbano guardare a un vasto universo di aziende, ciascuna con le proprie dinamiche in contesti differenti gli uni dagli altri.
Circa 20 anni fa, investire negli emergenti significava farlo in settori quali le infrastrutture o i servizi finanziari di base, i consumi, in contesti caratterizzati, per la maggior parte da economie che fornivano beni e servizi per la vita quotidiana. Oggi ci sono imprese, invece, che hanno assunto un ruolo sicuramente non trascurabile nel processo di industrializzazione 4.0. Si tratta di un’evoluzione all’interno di questa asset class che non può essere disconosciuta. Nelle economie emergenti nei prossimi 10 anni o più ci saranno circa due miliardi di persone che entreranno a fare parte della forza lavoro in un tessuto produttivo con delle aziende multinazionali che diventeranno leader globali. È una parte importante del mondo che non solo sta crescendo, ma sta esprimendo un nuovo protagonismo che apre, in termini finanziari, a delle opportunità d’investimento.
Pinuccia Parini
Dopo una lunga carriera in ambito finanziario sul lato, sia del sell side, sia del buy side, sono approdata a Fondi&Sicav

