A colloquio con Ruben Dalfovo, Investment Strategist di BG Saxo

 

small cap
Quali sono, a vostro giudizio, i fattori che rendono l’investimento in small cap interessante in questa fase?

Vedo tre fattori principali.

Primo, la valutazione relativa: la lunga rincorsa delle grandi capitalizzazioni ha aperto uno sconto storicamente ampio sulle small cap, che incorpora timori su crescita e liquidità, ma allo stesso tempo crea un cuscinetto di rendimento atteso per chi sa scegliere modelli di business resilienti, dove la generazione di cassa è già visibile e la disciplina nell’allocazione del capitale è comprovata.

Ruben Dalfovo

Secondo, la dispersione: in un contesto in cui i tassi restano più alti della scorsa decade e i costi delle materie prime si normalizzano in modo non uniforme, le differenze tra vincitori e perdenti aumentano, e questo favorisce l’approccio “da selezionatore”, alla Warren Buffet, che non compra etichette ma incentivi corretti, ritorni sul capitale sostenibili e vantaggi competitivi difendibili.

Terzo, la leva al ciclo e all’innovazione: le small cap tendono a essere più domestiche, più vicine alla domanda finale e più rapide nell’adattarsi a nicchie in crescita. Quando gli ordini riprendono e il canale si ripulisce dagli eccessi, la marginalità migliora più in fretta, e l’eventuale riapertura di finestre M&A aggiunge una fonte extra di creazione valore, perché molte società di media grandezza cercano tecnologie e quote di mercato acquistabili a premi ancora ragionevoli.

A ciò aggiungo un elemento spesso trascurato: l’inefficienza informativa. La copertura degli analisti è più scarsa, gli investitori passivi pesano meno, e il rumore di breve periodo può allontanare capitali proprio quando il rapporto rischio/rendimento diventa più interessante. Per un orizzonte pluriennale, questa combinazione aumenta le probabilità di comprare qualità a prezzi non perfetti ma equi, che è poi il cuore della filosofia di lungo periodo.

Ovviamente non è un “tutto facile”: la minore liquidità amplifica la volatilità, i debiti a tasso variabile vanno valutati con rigore e la governance conta doppio. Per questo motivo la mia bussola resta semplice e non alla moda: cassa vera, debito sotto controllo, pricing power credibile, management con interessi allineati e vera ‘pelle in gioco’, che alloca il capitale per creare valore, non per alimentare la narrazione.

Quanta spinta alla performance delle small cap potrebbe arrivare da un allentamento monetario da parte della Federal Reserve?

La risposta corretta inizia con un “dipende dal perché”. Se la Federal Reserve allenta perché l’inflazione converge e l’economia regge, il taglio dei tassi agisce su tre canali che storicamente aiutano le small cap: riduce il costo del capitale e quindi il peso degli oneri finanziari, amplia i multipli di valutazione dove i profili di crescita sono credibili e migliora le condizioni di credito bancario domestico, con effetti rapidi su ordini e investimenti delle imprese più piccole.

In questo scenario di atterraggio morbido, mi aspetto una reazione più elastica delle small cap rispetto alle large cap, perché la domanda interna stabilizza i ricavi, la normalizzazione dei tassi spinge il sentiment sugli asset rischiosi e la leva operativa traduce punti di fatturato in punti di margine con efficienza superiore. In altre parole, quando il vento rinforza, le barche leggere e ben costruite accelerano.

Se invece l’allentamento arriva perché la crescita si incrina, la dinamica cambia: il taglio può sostenere i multipli ma non compensa subito l’erosione degli utili, e i bilanci fragili soffrono. In questo contesto, la selezione diventa decisiva e il mercato premia i bilanci forti, i modelli asset-light e le nicchie non cicliche, mentre penalizza i piani d’investimento troppo ottimistici e l’indebitamento eccessivo.

Conta anche il percorso più del primo passo: una traiettoria prevedibile, comunicata bene e coerente con dati in miglioramento, ha più effetto di un taglio isolato, perché abbassa la volatilità attesa e incoraggia i decision maker a sbloccare progetti rimasti nel cassetto. L’idea non è “tassi giù, tutto su”, ma “tassi giù, premiamo chi esegue”.

Traducendo in pratica, vedo valore nel costruire l’esposizione con gradualità, privilegiando small cap profittevoli e ben capitalizzate, dove il taglio dei tassi è un vento in poppa e non una stampella.

Per distinguere un rimbalzo da una ripartenza, monitorare spread di credito (differenza tra il rendimento di un’obbligazione societaria e quello di un titolo di Stato con stessa scadenza, se si allarga, il rischio percepito aumenta), tono delle guidance e qualità del backlog ordini. Mantenere riserve e aggiungere nei ribassi è spesso la mossa più sensata, perché le valutazioni interessanti non fanno rumore.

 


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Stefania Basso

Laureata all'Università Statale di Milano, dal 2006 collaboro con Fondi&Sicav. Lunga esperienza nel settore del risparmio gestito come marketing manager presso Franklin Templeton Investments e J.P. Morgan Fleming Am a Milano e a Lussemburgo. Breve esperienza presso Lob Media Relations come ufficio stampa per alcune realtà finanziarie estere. In tutto il mio percorso professionale ho lavorato a stretto contatto con persone provenienti da diverse parti del mondo, che mi hanno permesso di avere un approccio dinamico e stimolante e di apprendere attraverso il confronto con realtà differenti.