È indubbio che l’ingerenza di Donald Trump nelle decisioni della Fed ha fatto alzare più di un sopracciglio, soprattutto per il timore che la politica, ancora una volta, pensi di essere nella posizione di intervenire nelle decisioni di una banca centrale.

Tuttavia, le pressioni per misure più aggressive da parte del presidente americano, per quanto inopportune, potrebbero non essere completamente prive di fondamento, perché tassi più bassi aiuterebbero, insieme alle politiche fiscali, a sostenere l’economia americana e, nello stesso tempo, i mercati finanziari. Ma il rischio di una ripresa dell’inflazione rimane dietro l’angolo

Insieme ai dazi, il maggiore punto di discontinuità di Donald Trump rispetto alla prassi comune del sistema americano è l’assalto frontale nei confronti di Jerome Powell, peraltro messo da lui a capo della Federal Reserve più di sette anni fa.

Le scelte della Fed

Lo scontro che si è creato vede fronteggiarsi due visioni della realtà quasi opposte. Da una parte le autorità monetarie del Paese, dopo decenni di lassismo, hanno ritrovato forti motivazioni per combattere l’inflazione, che negli Stati Uniti è un fenomeno forse più complesso rispetto a quanto accade in Europa. Nel nostro caso, infatti, sono soprattutto gli shock esogeni (corsi delle risorse naturali in primis) a indurre fiammate sui prezzi. In America, invece, si aggrovigliano diversi fattori, tra i quali la struttura quasi oligopolistica di alcuni comparti, i consumi concentrati fra i più benestanti, la cui domanda è relativamente inelastica, e la forte richiesta di servizi per i quali la manodopera scarseggia. In questo ambiente, la Fed ha scelto finora di agire con un’inusuale morigeratezza di stampo teutonico che fatica ad abbandonare.

Anche il recente taglio di 25 bp ai Fed Fund, varato in ottobre e seguito dall’annuncio di una diminuzione nel passo di riduzione delle dimensioni del bilancio della Fed, è stato accompagnato da commenti molto prudenziali. Il presidente della più potente istituzione monetaria del pianeta ha infatti posto in dubbio un’ulteriore sforbiciata a dicembre, pur riconoscendo l’indebolimento del mercato del lavoro. È interessante notare che due presidenti della Fed su 12 abbiano votato contro la decisione. Uno (Jeffrey Schmid) non voleva alcuna limatura mentre Stephen Miran, messo in tale ruolo da Trump la scorsa estate, avrebbe all’opposto preferito una sforbiciata di 50 bp.

Caro-vita

Oltre agli elementi quasi endemici, il caro-vita americano rischia di trovare carburante extra nell’impatto (tuttora da verificare) dei dazi. Dall’altra parte l’ossessione per un allentamento più aggressivo di Washington, per quanto sostenuta con modi sgangherati e opinabili, ha un suo fondamento economico. Anthony Willis, investment manager di Columbia Threadneedle Investments, afferma:

«L’economia statunitense sta mostrando segnali di rallentamento, con la Fed che evidenzia un calo delle assunzioni e un’attività sotto tono. Nel frattempo, le banche regionali devono affrontare lo stress causato dall’aumento dei casi di insolvenza sui prestiti, in particolare nel settore auto.  Anche la resilienza dei consumatori sembra in calo e l’inflazione rischia di rimanere una preoccupazione nel 2026. La Federal Reserve è orientata verso un allentamento monetario per sostenere un mercato del lavoro in fase di indebolimento, il che potrebbe reintrodurre pressioni inflazionistiche. Nel frattempo, L’Fmi mette in guardia dall’aumento del debito globale e della domanda di spesa, che potrebbero limitare la flessibilità fiscale e contribuire a rischi di inflazione a più lungo termine, se non gestiti con una politica più rigorosa».

continua a leggere


Unknown's avatar
Boris Secciani

Nato a Bologna nel 1974, a Milano ho completato gli studi in economia politica, con una specializzazione in metodi quantitativi. Ho cominciato la mia carriera come broker di materie prime negli Usa, per poi proseguire come trader sul forex. Tornato in Italia ho partecipato come analista e giornalista a diversi progetti. Sono in FONDI&SICAV dalla sua fondazione, dove opero come Responsabile dell'Ufficio Studi. I miei interessi si incentrano soprattutto sul mondo dei tassi di interesse e del reddito fisso, sulla gestione del rischio di portafoglio e sull'asset allocation.