a colloquio con Dhiraj Bajaj
È un ritorno a sorpresa, a suo parere, l’interesse degli investitori per i mercati obbligazionari asiatici?
«Direi che l’eccezionalismo americano non è più l’esclusivo centro d’interesse per gli investitori. E una tra le ragioni che li ha portati a diversificare i portafogli è stata l’atteggiamento dell’amministrazione americana».
In che senso?
«Dal nostro punto di vista, gli Stati Uniti hanno commesso un grave errore: hanno adottato politiche fiscali e monetarie troppo espansive dopo lo scoppio della pandemia e, per correre al riparo, sono stati costretti ad aumentare i tassi d’interesse in modo consistente. Il nuovo piano per il Paese, redatto dall’attuale amministrazione repubblicana, ha la finalità di stimolare la crescita nel lungo periodo in modo da non rimanere indietro rispetto alla Cina. Gli strumenti che si ritiene possano rendere questo obiettivo raggiungibile, in un contesto di dollaro più debole, sono: la riduzione dei tassi d’interesse, per diminuire il costo di finanziamento del debito pubblico, il taglio delle tasse, la deregolamentazione, l’introduzione dell’utilizzo dello stablecoin nel sistema e una serie di altre misure presenti nel One Big Beautiful Bill Act. A fare da sfondo a queste misure c’è la debolezza della divisa americana. Contestualmente, c’è un esplicito invito (a volte al limite della forzatura) affinché le industrie manifatturiere aprano le proprie fabbriche negli Stati Uniti, creando così anche una domanda di mano d’opera di cui possono beneficiare direttamente i cittadini americani. Di riflesso, sono state fortemente inasprite le misure contro l’immigrazione.
La politica dei dazi, a sua volta, è vista come uno strumento per ripianare i conti dello stato e per stimolare l’economia senza creare ulteriore disavanzo. Tutto ciò ha significato, per il resto del mondo, una politica commerciale più instabile con gli Usa, il cui eccezionalismo viene a trovarsi così ridimensionato. Ciò nonostante, ci attendiamo una crescita positiva del Paese, un mercato azionario relativamente vivace, trainato dal super-ciclo della tecnologia e tassi d’interesse più bassi per sostenere una crescita economica dell’1,5-2% in termini reali».
Che cosa significa tutto ciò per il resto del mondo?
«Comporterà una revisione delle politiche commerciali, perché il cambiamento in atto ci conduce in uno scenario multipolare e ciò comporta una ridefinizione dei rapporti tra i diversi stati. È il caso dell’India, rimasta decisamente scioccata dal livello di dazi imposti dagli Stati Uniti per spingerla ad acquistare prodotti agricoli di cui non necessita: ora il governo dovrà adottare un approccio completamente diverso verso l’esterno, cercando di coinvolgere i paesi del Sud globale e rafforzando i rapporti con le altre nazioni. E, di fatto, un cambio di passo lo si è già visto in occasione dell’incontro della Shanghai Cooperation Organization, con il riavvicinamento tra India e Cina. Noi crediamo che il mondo non stia diventando meno globalizzato.
Ci sono solo gli Stati Uniti che hanno deciso di imporre a livello globale i dazi sulle merci: l’impatto della misura non deve essere ignorato, ma va anche ricordato che la Repubblica Popolare è il principale partner commerciale al mondo per valore totale di beni e servizi scambiati. La conseguenza della decisione di Washington sarà una crescita futura degli scambi di merci tra il Sud globale, l’Asia e la Cina. Il timore di una de-dollarizzazione causata da un minore protagonismo americano potrebbe reindirizzare gli investimenti verso altri paesi e tradursi in un aumento di valore degli asset dopo il deprezzamento avvenuto durante la pandemia».
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Redazione
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