Luigi Calegari, Team Equity di Pramerica Sgr, risponde alle domande di Fondi&Sicav sull’azionario emergente

Luigi Calegari, Pramerica Sgr

Nel decennio appena conclusosi, gli indici azionari composti dall’universo dei Paesi Emergenti non sono stati in grado di seguire il trend rialzista delle principali Borse delle aree sviluppate. Quali sono, a vostro giudizio, le ragioni alla base della sottoperformance?

La sottoperformance dei Paesi Emergenti nell’ultimo decennio deve essere contestualizzata rispetto a ciò che è successo nel decennio precedente caratterizzato da una notevole sovraperformance dei listini Emergenti. Gli investitori di solito tendono a prediligere i Paesi Emergenti quando vi è un differenziale di crescita economica tale da compensare l’investimento in economie con valute più deboli e sistemi di governance più fragili.
La politica monetaria delle banche centrali dei Paesi Sviluppati e la conseguente iniezione di liquidità, a seguito della crisi finanziaria del 2008, hanno posto le basi per un graduale restringimento del gap di crescita, guidato principalmente dallo sviluppo dell’economia cinese, che aveva caratterizzato il decennio precedente, favorendo le economie basate sull’esportazione di materie prime verso il mercato asiatico.

La discesa del prezzo delle materie prime e il parallelo rafforzamento del dollaro hanno fatto sì che le borse dei Paesi Sviluppati, in particolar modo quella americana, abbiano avuto una performance decisamente migliore rispetto ai Paesi Emergenti, che hanno visto un continuo deflusso d’investimenti.
Il passaggio da un modello di business a bassa intensità di capitale nel settore dei servizi, sempre più basato sullo sfruttamento e utilizzo di dati piuttosto che di energia, a scapito di un modello produttivo basato sulla produzione in regioni con costo del lavoro inferiore, ha favorito le società – soprattutto americane – del settore tecnologico rispetto alle società di settori più tradizionali e ciò ha portato i listini con un maggior numero di società tecnologiche a guidare la sovraperformance economica e degli indici azionari.

Attualmente sta crescendo il numero di esperti che inserisce l’equity emergente tra le asset class favorite per il 2020. Concordate o no con questa view? Per quali ragioni?

Il continuo investimento in ricerca e sviluppo da parte soprattutto del governo cinese ha portato a un restringimento del gap, rendendo disponibili anche nel mercato cinese, che rappresenta circa il 30% degli indici Emergenti, numerose società high tech interessanti. Il gap valutativo tra Paesi Sviluppati e Paesi Emergenti (con un P/E di 18 rispetto a 14) può presentare oggi un’interessante opportunità d’investimento, soprattutto se il dollaro dovesse iniziare un trend d’indebolimento progressivo. Già nell’ultimo trimestre del 2019, grazie anche al raggiungimento della prima fase dell’accordo commerciale tra Cina e Stati Uniti, abbiamo assistito a un’inversione di rotta in termini di performance, con i Paesi Emergenti che hanno finalmente avuto una performance superiore rispetto a Stati Uniti, Giappone ed Europa.


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Stefania Basso

Laureata all'Università Statale di Milano, dal 2006 collaboro con Fondi&Sicav. Lunga esperienza nel settore del risparmio gestito come marketing manager presso Franklin Templeton Investments e J.P. Morgan Fleming Am a Milano e a Lussemburgo. Breve esperienza presso Lob Media Relations come ufficio stampa per alcune realtà finanziarie estere. In tutto il mio percorso professionale ho lavorato a stretto contatto con persone provenienti da diverse parti del mondo, che mi hanno permesso di avere un approccio dinamico e stimolante e di apprendere attraverso il confronto con realtà differenti.