• Non si vede la fine dell’attuale incertezza, a cura di Marija Veitmane, multi-asset class strategist, State Street Global Markets
  • Il difficile contesto dell’industria petrolifera, di Ben Jones, multi-asset class strategist, State Street Global Markets
  • Serve un maggiore allentamento delle politiche fiscali, Amlan Roy, head of Global Macro Policy Research, State Street Global Advisors

Non si vede la fine dell’attuale incertezza

A cura di Marija Veitmane, multi-asset class strategist, State Street Global Markets

“Crediamo che questa recessione sarà di breve durata, ma non è ancora chiaro quali saranno la velocità e la forma (a V, a U o a L) della ripresa. Storicamente la stagione degli utili aziendali ha rappresentato un buon indicatore per lo stato dell’economia e per capire la direzione dei vertici aziendali per il futuro. Se da un lato gli analisti sono impegnati a ridurre le loro stime sugli utili per quest’anno e per il prossimo, non possiamo però aspettarci che ci sia chiarezza sulle prospettive future, perché gli analisti non concordano in merito all’impatto negativo dell’attuale crisi sulle aziende.

La dispersione delle previsioni degli analisti è di poco inferiore a uno dei massimi storici che fu raggiunto al culmine della crisi finanziaria globale del 2008. Sarà difficile quindi difficile mantenere l’ottimismo sulla direzione dei mercati azionari fino a quando non avremo maggiore chiarezza sulle prospettive degli utili aziendali e fino a quando la dispersione delle previsioni degli analisti non verrà meno”.

Il difficile contesto dell’industria petrolifera

Ben Jones, multi-asset class strategist, State Street Global Markets

Siamo scettici sul fatto che nelle prossime settimane si possa raggiungere un ampio accordo tra i produttori petroliferi mondiali per ridurre significativamente la produzione. Tutti gli attori coinvolti hanno bisogno di prezzi del petrolio più alti, ma allo stesso tempo non vogliono perdere quote di mercato e le tensioni restano molto elevate. Se l’Arabia Saudita e la Russia non vedono altri Paesi, cioè gli Stati Uniti, fare la loro parte nei tagli alla produzione, allora è improbabile che possano fare marcia indietro sui recenti aumenti dell’offerta.

Lo stesso Trump non vuole che gli Stati Uniti riducano in modo significativo la produzione, perché così facendo non si andrebbe nella direzione della sua narrativa ispirata al “Make America Great Again”. E nemmeno dei suoi ultimi commenti sulla necessità di tutelare l’industria petrolifera statunitense e i relativi posti di lavoro. E tutto questo per Trump non funziona nemmeno a un livello politico più micro dato che, tra i primi 10 stati produttori di petrolio, tutti tranne la California sono per lui potenziali serbatoi di voti in vista delle elezioni di novembre.

“Tuttavia quest’anno sono successe cose ancora più bizzarre. E, se anche si dovesse raggiungere un accordo, non ci aspettiamo un supporto significativo per i prezzi del petrolio. Un taglio del 10%-15% alla produzione petrolifera globale è certamente una riduzione molto ingente e senza precedenti, ma l’impatto sulla riduzione della domanda petrolifera è stato ancora più forte e secondo le nostre stime sul greggio tale impatto è superiore ai 20 milioni di barili al giorno. L’eccedenza record dell’offerta rimarrà, il che significa che le scorte continueranno a crescere”.

Serve un maggiore allentamento delle politiche fiscali

A cura di Amlan Roy, head of Global Macro Policy Research, State Street Global Advisors

“La solidarietà in Europa potrebbe portare a una politica di controllo della curva dei rendimenti messa in atto dalla BCE e dal Consiglio Europeo a sostegno di un maggiore allineamento interno all’Unione. I colloqui trilaterali sul petrolio tra Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti, nella parte di facilitatore, sono incoraggianti come si evince dai primi segnali da parte dei fondi sovrani russi. Tutto ciò si aggiunge al rallentamento del numero di nuove morti e nuove infezioni in gran parte dell’Europa”.


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