Intervista ad Andrea Federici, gestore del fondo Aristea SICAV new Frontiers Equity di Banor Capital

In una fase in cui si discute molto degli elevati livelli di valutazione raggiunti da alcuni indici azionari, i mercati di frontiera presentano valutazioni meno care. Parallelamente al ratio P/e, quali sono a vostro giudizio i fattori che rendono l’asset class appetibile?

Andrea Federici

Nell’attuale fase di mercato i mercati di frontiera rappresentano un’opportunità unica non solo per le valutazioni “cheap” (il nostro portafoglio di titoli di aziende operanti in questi Paesi ha un P/E medio di 9,5x), ma soprattutto per le opportunità di crescita offerte da questi mercati.

Infatti, sono Paesi caratterizzati da economie in forte espansione con tassi di crescita del PIL tra il 4% e l’8%. E da aziende che continuano a mostrare utili che crescono ad un ritmo sostenuto, permettendo di pagare agli azionisti dividendi molto interessanti, nell’ordine del 4%.

Questo ambiente molto favorevole è sostenuto da fattori locali di espansione socio-economica: la popolazione molto giovane e con redditi in crescita sostiene nel lungo termine la domanda interna di prodotti e servizi a un livello nettamente più elevato rispetto ai mercati sviluppati ed emergenti.

Inoltre, la quasi totalità dei Frontier Markets si trova in posizioni chiave lungo la Belt and Road, l’iniziativa strategica della Cina volta al miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i Paesi nell’Eurasia e dell’Africa orientale che imprimerà un’ulteriore spinta alla crescita economica e alle relazioni internazionali di queste nazioni.

Ad esempio Vietnam, Kazakistan, Kenya trarranno notevoli benefici proprio grazie alla loro collocazione geografica.

In estrema sintesi, in questo particolare momento storico, i mercati di frontiera offrono “il doppio della crescita a metà del prezzo”. Il che, insieme alle favorevoli condizioni socio-economiche e alle potenzialità dalla Belt and Road Initiative, potrebbe dare inizio ad un bull market pluriennale.

Bassi livelli di capitalizzazione, instabilità politica, valute inclini alla volatilità estrema o alla svalutazione rappresentano alcuni elementi di rischio per coloro che investono nell’asset class. In questa fase di mercato quale fattore di rischio ritenete più pericoloso?

Seppur negli ultimi anni la rischiosità dei mercati di frontiera si sia notevolmente ridotta, come qualsiasi tipo di investimento, questi Paesi presentano dei rischi, tra cui quello di possibili svalutazioni valutarie. Tuttavia è importante notare come tali rischi sono simili a quelli che caratterizzavano i mercati emergenti 15-20 anni fa, anche se con una rilevante differenza.

Gli attuali governi e banche centrali, forti dell’esperienza di come tali situazioni sono state affrontate in passato dalle istituzioni dei Paesi emergenti, agiscono ponendo maggiore attenzione agli effetti che i loro interventi possono avere sul mercato e sugli investitori.

Vale la pena sottolineare che, se anche è vero che i singoli Paesi possano presentare elevati rischi idiosincratici, un portafoglio globale costituito da 10-15 Frontier Markets tende ad avere un rischio complessivo relativamente contenuto. Al pari di un portafoglio costituito da titoli dei Paesi emergenti e sviluppati, proprio grazie alla bassa integrazione tra i Paesi di frontiera.


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Stefania Basso

Laureata all'Università Statale di Milano, dal 2006 collaboro con Fondi&Sicav. Lunga esperienza nel settore del risparmio gestito come marketing manager presso Franklin Templeton Investments e J.P. Morgan Fleming Am a Milano e a Lussemburgo. Breve esperienza presso Lob Media Relations come ufficio stampa per alcune realtà finanziarie estere. In tutto il mio percorso professionale ho lavorato a stretto contatto con persone provenienti da diverse parti del mondo, che mi hanno permesso di avere un approccio dinamico e stimolante e di apprendere attraverso il confronto con realtà differenti.