Intervista a Matteo Buonomini, head of Italy distribution di aberdeen Investments

L’anno borsistico, per il momento, risulta più positivo per i mercati azionari emergenti rispetto a quelli sviluppati. Che cosa è successo?

«All’inizio di quest’anno, le aspettative erano che ancora una volta la borsa americana sarebbe stata la migliore sostanzialmente per tre ragioni: la stabilità politica, il liberismo e la supremazia del dollaro. Questi pilastri, però, hanno cominciato a mostrare diverse crepe. Negli Stati Uniti il Partito repubblicano controlla il Congresso e i suoi rappresentanti governano il Paese, ma, dal nostro punto di vista, la situazione non è politicamente stabile. L’introduzione dei dazi è l’azione di un’amministrazione che vuole proteggere le industrie locali dalla concorrenza estera, rendendo meno competitivi i prodotti importati. La debolezza del dollaro è il risultato del nuovo ordine che si è voluto creare a Washington, cui si è aggiunto l’effetto di misure adottate che ne ha minato la credibilità. Il nostro team dedicato ai mercati emergenti, inoltre, analizzando gli effetti dell’aumento generalizzato delle spese per la difesa nei paesi sviluppati, ha rilevato una quasi contestuale diminuzione dell’esposizione ai Treasury da parte di alcuni investitori, che a sua volta non ha favorito il biglietto verde. E poi c’è stata la sfida di DeepSeek alla tecnologia americana, fino a quel momento regina incontrastata dell’intelligenza artificiale (Ai) a livello mondiale. La startup ha dimostrato che c’è spazio per altri paesi (al momento soprattutto la Cina) di crescere a livello tecnologico e porsi in competizione con gli Stati Uniti. È probabilmente alla luce di questi fattori che si sono cominciati a vedere deflussi dal mercato americano, il cui effetto è stato l’indebolimento del dollaro e l’aumento dell’interesse verso altre aree geografiche in un’ottica di diversificazione. Tra queste spiccano le economie emergenti».

Un’area che non ha certamente goduto del favore degli investitori negli ultimi anni…

«Per l’esattezza 14 anni, durante i quali le performance dei mercati emergenti (Em) si sono alternate senza però dare vita a una tendenza rialzista dell’indice generale. Tutt’altro. Quest’anno, invece, l’apprezzamento è a all’incirca il doppio rispetto alle aree sviluppate, risultato reso possibile dal tasso di crescita della regione, dal dollaro debole e dai flussi in entrata sulle piazze finanziarie. Secondo le recenti stime del Fmi, le economie avanzate sono previste in crescita dell’1,6% quest’anno e il prossimo, mentre quelle emergenti del 4,2% e del 4% negli stessi periodi. L’America Latina beneficia della forte domanda di materie prime, l’Asia dei consumi, della tecnologia e degli investimenti industriali. A ciò si aggiungono valutazioni molto attrattive degli Em che, in termini di P/E trattano a 14x rispetto a 24x per i paesi sviluppati, con punte molto più alte se si considerano i titoli che hanno trainato al rialzo l’indice».

…ma che ha sempre maggiore peso sull’economia globale

«L’economia globale è sempre più influenzata dai grandi mercati emergenti, grazie anche alla maggiore integrazione di questi ultimi nel contesto mondiale. Va ricordata, a questo proposito, la domanda di minerali, di cui molti paesi emergenti sono fornitori: alcuni sono indispensabili per il mondo della tecnologia e, di conseguenza, della difesa. Ma nelle nostre scelte d’investimento allarghiamo ulteriormente il nostro sguardo anche a mercati finanziari che stanno sviluppandosi e che hanno le potenzialità di vedere il loro status avanzare nel futuro. È, ad esempio, il caso del Vietnam, che recentemente ha visto uno dei principali fornitori di indici annunciare che nel 2026 lo promuoverà da mercato di frontiera a mercato emergente secondario, in attesa del completamento di una revisione finale. Si tratta di un riconoscimento importante, perché riflette un miglioramento delle norme del Paese che impongono minori restrizioni alla circolazione dei capitali e alla proprietà da parte di soggetti esteri. La nostra presenza capillare nelle aree emergenti ci permette di monitorare da vicino le evoluzioni nella regione e di avere relazioni privilegiate con i governi locali e le aziende».

La politica commerciale americana ha avuto ricadute negative sulle economie emergenti?

«Direi che i dazi sono stati compensati in parte dalla debolezza del biglietto verde e per alcune economie, come nel caso dell’India, dalla composizione della crescita economica meno orientata alle esportazioni».

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Pinuccia Parini

Dopo una lunga carriera in ambito finanziario sul lato, sia del sell side, sia del buy side, sono approdata a Fondi&Sicav