Il mese di aprile è stato uno dei più estremi di sempre: tra gli indici europei, solo il DAX ha chiuso leggermente positivo. Alberto Tocchio, head of Global Equity and Thematics, Kairos Partners Sgr
Questa eccezionale volatilità azionaria nel mese di aprile è stata accompagnata da forti oscillazioni anche nel comparto obbligazionario, valutario e delle materie prime. Una dinamica che ha favorito gli exchange, i desk di trading delle banche d’affari e in generale chi beneficia di elevati volumi e volatilità, ma che ha rappresentato un vero incubo per i gestori tradizionali.
Ci troviamo oggi in un contesto sicuramente più stabile rispetto all’ultima volta in cui ci siamo sentiti, ma tutt’altro che semplice
Sebbene l’incertezza geopolitica si sia attenuata, i dati macro e le trimestrali restano solo parzialmente incoraggianti. La notizia migliore, però—e scusate il gioco di parole—è che ci siamo “liberati dal Liberation Day”: i mercati azionari hanno recuperato completamente le perdite subite dopo il 2 aprile, e molte metriche di rischio e sentiment sono tornate su livelli più normali. Questo è un passaggio fondamentale per tornare a ragionare in termini di fondamentali e opportunità d’investimento.
Prima di analizzare gli ultimi dati macroeconomici e fare un punto sulle trimestrali, vale la pena soffermarsi su quanto accaduto nei primi 100 giorni dell’amministrazione Trump, e sui primi segnali che sta lasciando. Il tasso di popolarità del presidente è in continuo calo, già ai livelli minimi raggiunti dal suo predecessore Biden. Emblematica in tal senso la copertina dell’ultima edizione dell’Economist, che raffigura l’aquila calva—simbolo degli Stati Uniti—visibilmente malconcia accanto a un countdown che indica quanti giorni mancano alla fine del mandato: al momento della pubblicazione erano ancora 1.360.
Come accennavo, può sembrare sorprendente che molte metriche d’incertezza siano tornate su valori quasi normali, ma il mercato ha riprezzato rapidamente la situazione. Nel giro di poche settimane siamo passati dal picco dell’instabilità geopolitica a un contesto in cui gli investitori sembrano ormai quasi assuefatti alle continue indiscrezioni su presunti accordi. Intanto, sono già trascorsi quasi 30 dei 90 giorni di sospensione dei dazi senza che si sia concretizzato nulla.
Non sapremo mai con certezza quale sia stato il vero motivo dietro l’annuncio della sospensione dei dazi:
forse era tutto già previsto, oppure è stato il risultato della pressione dei mercati, del rischio crescente di crisi di liquidità e dell’intervento diretto di alcune grandi corporate americane che si sono rivolte personalmente a Trump. In ogni caso, quella mossa ha comprato tempo.
Da allora, Trump ha ammorbidito i toni, anche nei confronti della Cina, e sembra davvero intenzionato a raggiungere accordi con le principali controparti. Inoltre, è riuscito a rassicurare i mercati sul fatto che lascerà la Federal Reserve lavorare in autonomia, senza ulteriori pressioni sul presidente Powell. Il tutto è stato amplificato dal posizionamento estremo di molti investitori, che a metà aprile erano eccessivamente negativi e sottopesati: sono stati costretti a ricoprirsi, alimentando così il rialzo, ma peggiorando le loro performance.
Tornando ai simbolici primi 100 giorni di mandato, il dollaro ha già emesso un verdetto molto chiaro:
l’indice DXY ha perso quasi il 10%, registrando la peggiore performance da oltre 50 anni—più precisamente da quando Nixon, nel 1971, sganciò il dollaro dal gold standard. Questo non implica necessariamente la fine del dominio del dollaro, sebbene se ne parli sempre più spesso. Ancora oggi, circa il 90% delle transazioni internazionali avviene in dollari, ben oltre la quota degli Stati Uniti sul PIL e sul commercio globale. In altre parole, gli USA continuano a fornire l’infrastruttura finanziaria mondiale, e sostituirli non è semplice.
Detto ciò, è importante notare che, sebbene nel breve termine il dollaro sembri ipervenduto—e molti siano ormai troppo negativi per escludere un rimbalzo tecnico—nel medio-lungo termine il trend potrebbe restare ribassista. Questo era uno dei due obiettivi dichiarati da Trump all’inizio del mandato; l’altro era la discesa dei prezzi energetici. Da quel punto di vista, la sua amministrazione può già vantare un risultato tangibile: dal giorno dell’insediamento, il prezzo del petrolio è sceso di quasi il 30%.
Redazione
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