Asia nel mirino di Trump. Se effettivamente applicati dal 1° agosto, i dazi reciproci, che hanno carattere punitivo, verosimilmente rallenteranno la crescita esterna dell’Asia. Christiaan Tuntono, Senior Economist, Asia Pacific, AllianzGI

All’inizio di luglio il presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, ha reso pubbliche le lettere inviate a diversi partner commerciali, anticipando i nuovi dazi sulle importazioni che gli Stati Uniti applicheranno su larga scala a partire dal 1° agosto. In Asia orientale, tra i destinatari vi sono Filippine (dazi al 20%), Giappone, Corea, Malesia, Brunei (25%), Sri Lanka (30%), Indonesia (32%), Bangladesh (35%), Thailandia, Cambogia (36%), Laos e Myanmar (40%). L’amministrazione Trump sta inoltre rivedendo e imponendo dazi settoriali sulle importazioni di automobili, semiconduttori e prodotti farmaceutici, aumentando così gli oneri doganali per molti esportatori asiatici.
La strategia dei dazi di Trump in Asia, nella sua forma attuale, ha tre obiettivi principali:
(1) ottenere concessioni commerciali / su investimenti:
l’obiettivo è migliorare la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, sia per quanto riguarda il conto corrente che quello finanziario, riducendo le barriere tariffarie e non tariffarie dei partner commerciali. L’amministrazione Trump punta a ottenere un accesso più ampio ai mercati asiatici per i prodotti industriali, energetici e agricoli statunitensi, oltre che per i servizi finanziari, insieme ad un aumento degli investimenti diretti e degli acquisti di attività finanziarie da parte delle economie asiatiche.
(2) contrastare i traffici di transito:
poiché i dazi variano da un Paese asiatico all’altro, Trump punta a bloccare i trasferimenti di merci effettuati unicamente per eludere dazi più elevati imposti dagli USA. L’accordo commerciale tra Stati Uniti e Vietnam, così come le lettere ai vari Paesi asiatici, contengono clausole specifiche su questo tema, suggerendo che i prossimi accordi commerciali avranno strutture tariffarie a due livelli volte a bloccare i trasferimenti dalle economie soggette a dazi più alti (per esempio la Cina) a quelle con dazi più bassi (per esempio il Vietnam), attraverso l’inasprimento delle regole sull’origine delle merci (“rules of origin”).
(3) bloccare gli allineamenti antiamericani:
Sui social media Trump ha dichiarato che avrebbe imposto un dazio aggiuntivo del 10% a qualsiasi Paese che si fosse allineato con “le politiche anti-americane dei BRICS”. A nostro parere tale annuncio, come anche la precedente dichiarazione in cui il presidente USA minacciava di imporre ai BRICS dazi del 100% per essersi “allontanati” dal dollaro statunitense, è esemplificativo della “weaponization” dei dazi da parte di Trump: li usa infatti come armi non solo nel commercio ma anche a livello geopolitico, per scoraggiare alleanze antiamericane. I Paesi dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e altri Paesi a loro allineati, quali Indonesia, Malesia e Tailandia, con molta probabilità ne risentiranno.
Tuttavia la nuova scadenza è di fatto anche una proroga di tre settimane rispetto al 9 luglio, termine originario della prima sospensione. Riteniamo che la crescita asiatica sia destinata a indebolirsi nella seconda metà del 2025, a causa di pressioni crescenti legate all’aumento dei dazi USA, al calo delle spedizioni anticipate, all’indebolimento della domanda interna e al venir meno del sostegno derivante dalle misure di stimolo adottate in passato. Il protrarsi del contesto di debolezza del dollaro statunitense potrebbe contribuire a mitigare questi effetti negativi, consentendo alle banche centrali asiatiche di mantenere condizioni monetarie espansive a livello nazionale per sostenere la crescita.
Redazione
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