Il 2023 è stato un anno caotico per i CoCos AT1. Tuttavia, l’asset class sembra aver riconquistato margini di interesse. Jérémie Boudinet, Head of Investment Grade Credit Portfolio Management – La Française AM

Tra la scomparsa di circa il 7% delle obbligazioni in circolazione in seguito alla svalutazione dei titoli Credit Suisse e il trauma che ne è derivato, l’asset class sembrava in uno stato di declino senza prospettive, prima di riguadagnare il favore degli investitori nell’ultimo trimestre dell’anno, con livelli record di domanda per le emissioni primarie e il ritorno alla ribalta di UBS come simbolo di un rinnovato entusiasmo. 

Cosa guiderà la performance dell’AT1 quest’anno? Come si inseriscono in un’allocazione?

Il 2022 e il 2023 si sono rivelati molto impegnativi per i gestori obbligazionari. Inoltre, anche i gestori di debito subordinato hanno avuto la loro parte di dramma con la breve crisi bancaria del febbraio-marzo 2023, che ha ridisegnato l’universo AT1 spazzando via circa il 7% dell’universo con il deprezzamento totale dei titoli Credit Suisse.

Sebbene la ripresa dal crollo della banca svizzera sia stata immediata e molto forte, grazie agli hedge fund che hanno opportunisticamente raccolto molta liquidità, è stata trainata soprattutto dal grande rally obbligazionario dell’ultimo trimestre del 2023. Questo periodo di euforia è stato segnato dal ritorno di UBS sul mercato primario AT1, dove la domanda ha raggiunto i 36 miliardi di dollari per le due nuove emissioni del gruppo, con un importo cumulativo emesso di 3,5 miliardi di dollari. Al di là del simbolismo di questa operazione, il suo successo ha soprattutto evidenziato l’inizio di un ritorno alla normalità per questo segmento di mercato, con una domanda molto più forte per le nuove operazioni e un appetito visibilmente rinnovato da parte di più investitori.

Tuttavia, l’inizio del 2024 racchiude ciò che i gestori del credito hanno dovuto sopportare per diversi trimestri: un sentiment di mercato altamente volatile, legato alla volatilità dei tassi d’interesse e ai movimenti irregolari degli indici di credito come l’iTraxx Crossover. Oltre alle variazioni dei prezzi e dei rendimenti, ciò si può notare nella domanda di nuove emissioni di AT1 negli ultimi giorni. Crédit Agricole e CaixaBank hanno riaperto il mercato nella prima settimana di gennaio, ma non hanno attirato una domanda considerevole per le loro nuove emissioni denominate in euro, coprendo solo circa il doppio degli importi emessi, mentre la banca italiana Banca Popolare dell’Emilia Romagna è riuscita ad attirare una domanda sei volte superiore a quella emessa (oltre 3 miliardi di euro di domanda per 500 milioni di euro emessi) per la sua emissione inaugurale, il che non è mai facile per le banche nazionali meno conosciute.

La volatilità dei tassi e dei rendimenti sui mercati del credito, pur rimanendo considerevole, è comunque diminuita significativamente negli ultimi sei mesi, il che significa che possiamo guardare al 2024 con un po’ più di tranquillità per quanto riguarda la dinamica dei flussi nelle nostre asset class. I rendimenti medi a chiamata e a scadenza (cioè in perpetuo) dei CoCos AT1 si aggirano ancora su livelli storicamente elevati e rimangono a sconto rispetto all’High Yield europeo. L’opportunità di investire in questa classe d’investimento nel 2024 è quindi ancora valida, anche dopo la forte performance del quarto trimestre 2023, con un livello di carry sostanziale nonostante l’inasprimento della base dei tassi d’interesse e dello spread dal novembre 2023.

Come si decide quando investire in questa asset class? A nostro avviso, la risposta potrebbe essere simile a quella di un investimento in titoli di Stato. Gli AT1 sono un’area del mercato in cui attualmente ci sono pochi elementi specifici/idiosincratici, dal momento che la crisi del Credit Suisse è stata risolta, il che significa che possono essere visti – in termini semplificati – come una scommessa a leva sui tassi. Si potrebbe obiettare che gli spread potrebbero allargarsi, ma il livello di carry incorporato è sufficiente a compensare questo scenario, e gli spread negli ultimi anni sono stati correlati principalmente alla direzionalità e alla volatilità dei tassi sovrani, e non agli sconvolgimenti della salute economica degli emittenti.

 


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Redazione

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