Intervista a Mario Cribari, gestore di Bluestar

La Fed ha comunicato che il primo ritocco ai tassi dovrebbe arrivare a marzo. Fin dove credete possa spingersi il rendimento del Treasury decennale nel corso del 2022 e quale forma potrebbe assumere la curva dei tassi Usa?
Con un ritardo di almeno 6 mesi, la FED ha dovuto ammettere di aver clamorosamente sbagliato la propria previsione sull’inflazione che, come ripetiamo da tempo, non è transitoria ma permanente. Dopo aver peccato di estrema compiacenza, assieme ai mercati che hanno chiuso entrambi gli occhi, ora le tocca rincorrere.
Difficile fare previsioni ma una cosa è certa: il livello dei tassi è totalmente incoerente, anche in un confronto storico, al tasso di inflazione e di crescita economica che stiamo vivendo. Difatti i tassi reali si trovano a livelli negativi mai sperimentati prima. Un tasso di inflazione sopra il 7% ci riporta agli anni ’70 quando i tassi FED furono velocemente riportati dal 5% al 20%!

Ovviamente non rivedremo, forse mai, quei livelli ma tra 0.25% e 20% c’è una bella differenza. Riteniamo che il mercato abbia ormai già adeguatamente scontato il numero di rialzi dei tassi per il 2022. Restano però due incognite: il terminal rate al quale la FED arriverà alla fine del ciclo di rialzo. E soprattutto l’entità e velocità del Quantitative Tightening che lo accompagnerà.
Saranno questi due elementi a determinare il livello dei tassi a lunga.
Una delle motivazioni dietro al QT è che la FED vorrà evitare una inversione della curva, negativa per il settore finanziario e per l’economia, implicita quando la banca centrale aumenta i tassi a breve ma continua a fare incetta di carta lunga.
Il “rilascio” di emissioni governative a lunga scadenza eviterà questo fenomeno. Per quanto riguarda il terminal rate molto dipenderà da quanto velocemente l’inflazione scenderà verso il 4% (che resta comunque il doppio dell’obiettivo dichiarato della FED). E dal possibile rallentamento economico derivante dal forte aumento dei costi delle materie prime (e del lavoro) che stiamo già subendo.
In questa fase di mercato quali tipologie di titoli di Stato Usa ritenete sia opportuno inserire in portafoglio?
Nessuna. A meno che non si sia costretti in un portafoglio o in una gestione a benchmark oppure non si preveda una recessione e/o un crollo delle materie prime. Da parecchio tempo consigliamo di evitare i governativi tradizionali.
Questi presentano più rischio che rendimento, almeno per ora, e hanno perso gran parte della propria funzione di hedge. Ci troviamo di fronte potenzialmente al più massiccio cambio di politica monetaria degli ultimi anni unito al peggiore shock inflattivo dagli anni ’70.
Per altro il dollaro è ampiamente sopravalutato e i fondamentali non supportano né il biglietto verde né i titoli del Tesoro. Restiamo convinti che alcuni ben selezionati governativi emergenti, soprattutto la Cina, offrano invece rendimenti più interessanti con uno scenario inflattivo maggiormente sotto controllo, livelli di indebitamento più sostenibili, deficit commerciali e pubblici più bassi o positivi, valute più mature rispetto al passato.
Stefania Basso
Laureata all'Università Statale di Milano, dal 2006 collaboro con Fondi&Sicav. Lunga esperienza nel settore del risparmio gestito come marketing manager presso Franklin Templeton Investments e J.P. Morgan Fleming Am a Milano e a Lussemburgo. Breve esperienza presso Lob Media Relations come ufficio stampa per alcune realtà finanziarie estere. In tutto il mio percorso professionale ho lavorato a stretto contatto con persone provenienti da diverse parti del mondo, che mi hanno permesso di avere un approccio dinamico e stimolante e di apprendere attraverso il confronto con realtà differenti.

