La crescita cinese sarà positiva nel 2020, e si tratta di un’impresa non da poco in confronto alle economie più sviluppate ed emergenti. L’efficace contenimento dell’epidemia di Covid-19 e la politica di sostegno aggressiva hanno permesso alla Cina di realizzare una ripresa a forma di V. Ci aspettiamo che questa solida performance prosegua, sostenuta dall’affidabile regime di test e tracciamento in vigore nel Paese ed eventualmente da un vaccino.
Incoraggiati da questi sviluppi positivi, i policymaker cinesi ora riportano l’attenzione sulle strategie a lungo termine.
L’occasione giusta è offerta dall’imminente 5° Plenum del Comitato centrale del Partito comunista cinese, incaricato di formulare un nuovo piano economico quinquennale (2021-2025). Probabilmente il plenum confermerà le decisioni di marzo dell’Assemblea Nazionale del Popolo di abbassare o perfino evitare obiettivi di crescita espliciti per concentrarsi invece su una ripresa sostenuta dopo la crisi dovuta al Covid-19, sulla qualità della crescita e sull’indipendenza tecnologica. La stabilità non sarà più definita semplicemente dalla crescita del Pil, ma in termini di generale resilienza. Per certi versi, si tratta di un condizionamento prevedibile per un Paese in feroce competizione strategica con gli Stati Uniti.
Questo cambio di mentalità è evidente anche nelle decisioni politiche recenti.
La Banca Popolare Cinese ha rinunciato a ulteriori riduzioni dei tassi e iniezioni di liquidità, mentre le autorità macroprudenziali hanno annunciato “tre linee rosse” per controllare i livelli di debito dei promotori immobiliari. Non la consideriamo una svolta aggressiva, ma piuttosto un approccio più cauto e attendista. Dunque, non ci aspettiamo altre riduzioni dei tassi fino a metà del 2021. Non si possono escludere nuove iniezioni di liquidità, ma è probabile che saranno implementate con strumenti di più basso profilo.
Sul fronte fiscale, Pechino continuerà ad affidarsi all’emissione di obbligazioni speciali per progetti infrastrutturali e misure di sostegno mirate a livello nazionale.
La recente forte ripresa dell’impiego nel settore edilizio indica che queste misure sono state altamente efficaci. Guardando avanti, ciò che è già in corso di svolgimento probabilmente sarà sufficiente per innalzare la crescita del Pil a livelli intorno all’8,5% nel 2021, salvo nuove crisi. In questo senso, non sorprende che la Cina stia abbassando le aspettative rispetto a nuovi stimoli.
In Giappone, le improvvise dimissioni di Abe hanno fatto notizia, ma l’impatto sulla strategia nazionale sarà in realtà piuttosto limitato. Infatti, la sua visione per il Giappone coincide al momento con l’idea dominante all’interno del suo Partito Liberaldemocratico, che non solo detiene una forte maggioranza in entrambe le camere della Dieta Nazionale, ma gode di vantaggi strutturali significativi ancora per molte elezioni nazionali future. Il successore di Abe, il capo-segretario di gabinetto Suga Yoshihide, ha già promesso di “ereditare e portare avanti” le sue politiche.
In questo senso, Suga continuerà a nominare colombe ai piani alti della Banca del Giappone (BOJ) e a combinare obiettivi fiscali conservatori a medio termine con decisioni di spesa flessibili a breve termine. Diversamente da Abe, però, non si occuperà di iniziative inedite. Sia la BOJ che il Gabinetto dovrebbero evitare grossi nuovi interventi al di là delle misure di sostegno a breve termine per il Covid-19. Ci potrebbe essere una svolta se la BOJ tagliasse i tassi di interesse (a livelli negativi ancora più bassi) o controllasse esplicitamente i tassi di cambio, ma sono eventualità molto improbabili considerando le sensibilità politiche.
Ci sono comunque degli ambiti in cui Suga potrebbe distinguersi dal suo predecessore.
Rispetto ad Abe, si parla di una sua maggiore aggressività nelle battaglie per l’aumento dei salari minimi, il consolidamento del settore bancario, la deregolamentazione e un regime di immigrazione liberale. In particolare, l’aumento dei salari minimi potrebbe diventare la sua iniziativa di punta, dato il divario relativo fra il Giappone e la media dell’OCSE in questo ambito. Anche il consolidamento delle banche regionali deficitarie potrebbe ricevere un utile impulso. Non è ancora ben chiaro se Suga disponga del capitale politico per promuovere riforme vicine al mercato in materia di tutela dell’occupazione, burocrazia statale e politiche di immigrazione, in particolare considerando l’emergenza sanitaria a breve termine e la situazione economica ancora fragile.
Dalla revoca delle misure speciali per il Covid-19 a fine maggio, l’attività in Giappone è stata costantemente in ripresa.
Grazie alla forte disciplina individuale sull’uso delle mascherine e il distanziamento sociale, il Giappone è riuscito a tenere sotto controllo una grande ondata di contagi in estate, e la posizione del Paese sul fronte vaccinale è relativamente forte. Tuttavia, difficilmente l’inflazione si avvicinerà all’obiettivo del 2% della BOJ, e il recente rafforzamento dello yen aggiunge pressioni al ribasso. In definitiva, una bassa inflazione persistente potrebbe essere lo status quo essenziale per il premierato di Suga.
Redazione
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