Per combattere la crisi della domanda scatenata dal coronavirus, un’idea controversa imperversa in Europa. Quella dei coronabond: titoli obbligazionari comuni emessi per finanziarie le spese necessarie a rilanciare l’economia tramortita dalla pandemia.

D’altra parte, una vittoria contro l’epidemia di Covid-19 in Ue non può che passare per un piano coordinato. Tuttavia, mentre gli Stati Uniti e altri governi varano piani senza precedenti, l’Europa è divisa sul da farsi. Eppure è necessario che i governi nazionali possano finanziare le spese necessarie senza vincoli imposti dai mercati.

Gli economisti bocconiani Francesco Giavazzi e Guido Tabellini propongono il lancio di eurobond perpetui o a lunghissima scadenza garantiti dalla Bce. Il cui ricavato andrebbe utilizzato per rilanciare l’economia europea colpita dalla pandemia del coronavirus.

Coronabond, titoli di cittadinanza europea con scadenza intergenerazionale

Il problema è che gli Stati membri dell’asse teutonica virtuosa – Germania, Olanda, Finlandia e Austria – si sono opposti a quella che secondo loro è una misura che rischia di aprire la porta a una mutualizzazione del debito. Gli ideatori del piano in realtà dicono chiaramente sulle pagine di LaVoce.Info che non è prevista “alcuna garanzia degli stati virtuosi sul debito pregresso dei paesi meno virtuosi”.

I coronabond non sono nuovi prestiti o nuovi titoli del debito governativo. Si tratterebbe piuttosto di costituire un fondo di scopo all’interno del bilancio comunitario. Tale fondo verrebbe “alimentato da un contributo di cittadinanza annuo proporzionale al numero dei cittadini adulti dell’Unione. Perciò lo sforzo peserebbe sul bilancio di ciascun paese in modo assolutamente proporzionale alla sua popolazione adulta.

L’Europa utilizzerebbe questa capacità fiscale per garantire il pagamento degli interessi sui coronabond a cedola fissa e senza scadenza (consols) o con scadenza molto lunga, comunque intergenerazionale (100 anni), come suggerito da Giavazzi e Tabellini.

Mes come linea di credito: non è possibile

Le 27 autorità nazionali dell’area euro dovrebbero emettere una grande quantità di coronabond (Covid Eurobond), garantiti dalla loro capacità fiscale collettiva. Anche se saranno autorità nazionali separate a collocarli sul mercato, i titoli sarebbero identici tra loro.

La Bce, la cui presidente Christine Lagarde si è detta favorevole all’idea come eventualità una tantum, si dovrebbe poi impegnare a comprarne un’ampia fetta. Il rating comune e dunque il costo, spiegano Giavazzi e Tabellini, sarà il risultato della garanzia comune derivante dalla capacità fiscale congiunta degli stati che partecipano all’emissione.

Un’altra opzione che è stata messa sul tavolo è quella di usare il Mes, il meccanismo euopeo di stabilità, come linea di credito per sostenere l’attività economica dell’intero blocco. Per come è stato concepito, tuttavia, il fondo salva stati deve sostenere un singolo paese in un momento di crisi finanziaria. E non finanziare la risposta a uno shock comune a tutta l’area euro.

L’impatto su Btp e Spread

Nelle ultime contrattazioni di mercato sul secondario lo spread tra Btp e Bund è tornato ad ampliarsi scambiando sopra i 200 punti base, con il rendimento del decennale del Tesoro che si attesta all’1,52%.

Si parla di livelli comunque ancora sotto controllo. Il 18 marzo il differenziale tra Italia e Germania aveva toccato i 330 punti base, un valore mai sperimentato in sette anni. In tanti si ricorderanno i record di fine 2011, quando prima delle dimissioni di Berlusconi lo spread toccò il picco a 574 punti base con un rendimento del Btp di riferimento pari al 7,4%.

La prossima riunione dell’Eurogruppo in cui si discuterà su eventuali nuove riposte a livello Ue alla pandemia Covid-19 è in agenda il 7 aprile. Senza coesione di intenti e senza una soluzione a breve come quella dei coronabond (o eurobond), avvertono analisti e money manager, lo Spread tra Btp e Bund potrebbe continuare ad allargarsi.

Direttore del Mes pessimista sui coronabond: “non si possono fare obbligazioni dal nulla"
Direttore del Mes pessimista sui coronabond: “non si possono fare obbligazioni dal nulla”

Coronabond: malgrado i tanti pro, i tempi non sono ancora maturi

I coronabond europei sono appoggiati da una serie di economisti, ma – seppur sensata e appropriata come proposta – difficilmente vedrà la luce in tempi brevi. Il direttore del Mes Klaus Regling stima addirittura che ci vorrebbe almeno un anno e fino a due o tre anni di preparazione. Regling propone pertanto di usare gli strumenti esistenti.

“Gli stati membri dovrebbero presentarsi con del capitale o delle garanzie” per creare i nuovi coronabond con un emittente ad hoc, “non si possono fare obbligazioni dal nulla”.

In uno sforzo economico coordinato finanziato dall’emissione di debito comune, i coronabond, la risposta alla crisi sarebbe mutualizzata. Gli Stati membri garantirebbero le entrate fiscali al fondo, consentendogli di contrarre prestiti sul mercato (con responsabilità solidale) e di finanziare azioni di sgravio in tutta l’area UE o eurozona.

Le spese sarebbero ripartite in base alla gravità della crisi sanitaria e alla necessità di aiuti. Ci sono molti aspetti a favore di un tale approccio dal punto di vista economico ma anche politico.

Coronabond, due gli ostacoli principali

Tuttavia, uno schema di questo tipo si va a scontrare con almeno due difficoltà legali principali, peraltro citate anche dalla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen.

  1. Non esiste un veicolo pronto all’uso per l’emissione congiunta di debito da parte dei membri dell’area dell’euro. Il bilancio dell’UE non può indebitarsi al di là dei programmi di assistenza finanziaria consentiti dal Trattato. Non esiste infatti un bilancio comune dell’area dell’euro. E il MES non è un’istituzione di bilancio, quindi può concedere prestiti solo ai singoli Stati membri. Il prestito congiunto richiederebbe lo stanziamento di entrate fiscali per rimborsare il debito, ma nessuna istituzione europea ha potere fiscale;
  2. Per affrontare la crisi gli Stati membri hanno strategie possibili in mente diverse fra loro. Queste divergenze di intenti politici – in certi frangenti nette – riducono chiaramente la già abbastanza limitata propensione a trovare soluzioni comuni.

Questi ostacoli possono essere superati. Una soluzione di questo tipo potrebbe alla fine emergere come la prima migliore risposta all’emergenza. Ma l’impressione, vista anche la reazione dell’area teutonica e le parole di Von der Leyen, presidente della Commissione Ue, è che i tempi non siano maturi. Per com’è strutturata l’UE, governi e Bce dovranno inventarsi qualcosa di creativo e dovranno farlo presto.


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Daniele Chicca

Laureato in lingue e letterature straniere all'Università di Bologna, con un anno presso la UCL di Londra, è giornalista professionista dal 2007. Partendo da Reuters si è con il tempo specializzato in finanza, economia e politica. Grazie a competenze SEO e social, ha contribuito a portare a un incremento del traffico progressivo sul sito Wall Street Italia (in qualità di responsabile editoriale). È stato inviato da New York per Radio Rai e per varie agenzie stampa, tra cui AGI e TMNews (ex Apcom). Al momento si occupa della strategia di comunicazione di alcune startup svizzere specializzate in crypto, FinTech, materie prime e mondo del lavoro.