A giudicare dai risultati sin qui fallimentari dei pandemic bond, verrebbe da sconsigliare di scommettete contro una pandemia mondiale. Con l’epidemia di coronavirus – sempre più globale – in corso, molti investitori che posseggono i titoli a reddito fisso emessi dalla Banca Mondiale stanno perdendo soldi. Ma, esaminando il quadro generale, a guadagnarci sono quasi esclusivamente i privati e non gli stati delle aree più colpite.
I pandemic bond, inventati nel 2017 dalla divisione International Bank for Reconstruction and Development (IBRD) della Banca Mondiale per aiutare i paesi in via di sviluppo, funzionano un po’ come un contratto di assicurazione. Quando non ci sono eventi catastrofici, come l’epidemia globale di covid-19, i bond – molto popolari in Europa – garantiscono un rendimento stabilito da un tasso di interesse fisso annuo.
Se si verifica una pandemia e se certe condizioni legate a quell’epidemia sono rispettate, tuttavia, il capitale dei privati investito per comprare i bond viene usato per aiutare i paesi più poveri colpiti dall’epidemia.

Più utili agli investitori che agli stati?
Nel caso del coronavirus, gli Stati bisognosi stanno crescendo di numero. Facendo bene i conti, non tutti gli investitori avranno perso denaro, tuttavia. Diversi fondi pensione europei e le società di gestione Baillie Gifford, Amundi e Oppenheimer – per esempio – fanno parte dei gruppi citati dall’agenzia stampa AP che hanno ottenuto ritorni da investimento di anche l’11% l’anno di media.
Anche se molti investitori hanno perso il capitale iniziale e hanno in fretta liquidato le proprie posizioni una volta scoppiata l’epidemia in Cina, Iran, Corea del Sud e Italia, in generale i pandemic bond sono un tipo di strumento che di norma ha garantito guadagni finali agli investitori piuttosto che alle autorità nazionali delle aree economicamente più in difficoltà.
Il motivo ovvio è che le pandemie sono un fenomeno alquanto raro. La Banca Mondiale e i suoi partner avevano annunciato la creazione dei bond pandemici per compensare i costi esorbitanti che comporta il tentativo di arginare un’epidemia globale. L’idea era quella di fare leva sul capitale privato delle ricche imprese di Wall Street nel caso in cui i paesi poveri più colpiti dalla pandemia avessero bisogno di sostegno finanziario.
Pandemic bond, difetti messi a nudo dal coronavirus
E infatti da quando le obbligazioni sono state lanciate sul mercato, sostenute da circa 190 milioni di dollari di finanziamenti promessi dai paesi donatori, gli investitori hanno racimolato profitti più alti dei paesi che combattono le epidemie. Con l’avvento dell’emergenza da coronavirus, i prezzi dei pandemic bond sono crollati.
Ma anche la più alta delle somme versate dagli investitori in questo tipo di obbligazioni non è nulla in confronto a quanto costerà veramente l’epidemia per i governi e quindi i contribuenti dei paesi colpiti.
L’ex capo economista della Banca Mondiale Lawrence Summers ha definito i pandemic bond delle “sciocchezze finanziarie”. Le obbligazioni sono state lanciate all’indomani della devastante epidemia di Ebola in Africa occidentale (una malattia con tassi di mortalità ben più alti del coronavirus).
Pandemic bond: più che dannosi sono poco utili
L’epidemia di coronavirus, che ha fatto più di 13 mila morti e ha infettato più di 300 mila persone nel mondo, sta mettendo a nudo tutti i difetti della loro progettazione. “I paesi che hanno bisogno di aiuto non sono quelli che ottengono i fondi”, osserva ad AP Felix Stein dell’Università di Cambridge.
“Sono gli investitori di Wall Street a beneficiarne”, ha aggiunto il professore, autore di ricerche sui pandemic bond.
Molti degli investitori proprietari dei pandemic bond hanno chiuso le loro posizioni ora che l’epidemia è stata definita pandemia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e ora che ha fatto morti in tutti e cinque i continenti della Terra. Devono verificarsi condizioni abbastanza estreme perché il capitale investito nei bond non venga restituito e questo sarà probabilmente il caso con la propagazione del coronavirus.
La tranche meno rischiosa dei pandemic bond non viene ripagata se ci sono più di 2.500 morti nei paesi in via di sviluppo. Le condizioni per il “default” dei titoli della classe più rischiosa (Class B) sono state già rispettate nel caso del covid-19. Se la malattia oltrepassa i confini internazionali e ci sono almeno 20 morti nel secondo paese, i soldi degli investitori vengono devoluti agli stati poveri in difficoltà.
Pandemic bond non mantengono le promesse iniziali
Un altro criterio per far scattare la perdita del capitale è che ci siano 50 morti nel paese di origine del virus (in questo caso la Cina) e che trascorrano 12 settimane dall’inizio della pandemia (data superata lunedì 23 marzo).
Già a fine gennaio quando l’OMS aveva gridato all’emergenza sanitaria globale, si poteva intuire che il capitale di chi aveva investito nei bond era in serio pericolo. Ma per rimborsare i paesi si è dovuto aspettare che venissero rispettate le condizioni stipulate nei contratti. La risposta finanziaria si è rivelata insufficiente ed è arrivata troppo tardi.
I critici di questi veicoli di investimento a reddito fisso ritengono troppo rigide le condizioni prestabilite. Questo fa si che gli investitori accumulino una fortuna nei periodi di tranquillità, grazie a cedole generose tali da rendere digeribile la perdita del capitale in caso di scoppio di una pandemia. Capitale che non basta assolutamente per attutire il colpo di un’epidemia.
Cedole troppo generose e condizioni troppo rigide
Mentre la classe B dei titoli più rischiosi offre una cedola annua del tasso Libor più l’11,55%, la classe A corrisponde un interesse equivalente al tasso Libor più il 6,9% l’anno. Si tratta di remunerazioni alte, che fanno pensare che lo strumento sia stato pensato anche ad altri scopi.
D’altronde la Banca Mondiale ha una capacità finanziaria tale da poter finanziare direttamente i paesi in crisi a causa di un’epidemia. In totale dispone di $29 miliardi di attività liquide, secondo quanto sottolineato da Olga Jonas, economista dell’Università di Harvard.
Insomma, se i pandemic bond sono stati studiati per offrire un supporto finanziario ai paesi in lotta contro malattie infettive, sinora – per come sono strutturati – hanno fallito.
Daniele Chicca
Laureato in lingue e letterature straniere all'Università di Bologna, con un anno presso la UCL di Londra, è giornalista professionista dal 2007. Partendo da Reuters si è con il tempo specializzato in finanza, economia e politica. Grazie a competenze SEO e social, ha contribuito a portare a un incremento del traffico progressivo sul sito Wall Street Italia (in qualità di responsabile editoriale). È stato inviato da New York per Radio Rai e per varie agenzie stampa, tra cui AGI e TMNews (ex Apcom). Al momento si occupa della strategia di comunicazione di alcune startup svizzere specializzate in crypto, FinTech, materie prime e mondo del lavoro.

