L’analisi di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer, UBS WM Italy, UBS Europe SE
La nuova agenda economica americana resta al centro dell’attenzione dei mercati. Prima della minaccia di portare i dazi verso l’Unione Europea al 50%, il congelamento di una parte delle tariffe aveva parzialmente rasserenato il clima. Anche se i dazi resteranno su un livello medio del 15%, nettamente superiore rispetto al recente passato.

Per gli Stati Uniti, questo incremento equivale a un aumento dell’IVA di circa 2 punti percentuali e rappresenterà un freno alla crescita. Ma non tale da spingere l’economia in recessione.
Rimangono sicuramente molte incognite: rileggendo i testi delle ultime conferenze stampa delle principali banche centrali, a partire dalla Federal Reserve, la parola che più si ripete è «incertezza». L’incertezza è nemica dell’economia e dei mercati: aziende e investitori hanno bisogno di un quadro stabile per pianificare gli investimenti.
Tuttavia, la sospensione dei dazi e la maggiore propensione a concludere accordi emersa nelle ultime settimane dimostrano che il governo Trump è sensibile alle reazioni dei mercati finanziari. Dopo i dazi, il prossimo impegno nell’agenda economica americana è la politica fiscale. Trump ha indicato che proseguono i lavori per l’approvazione della «grande e bellissima legge (finanziaria)».
Nel disegno di legge, già approvato alla Camera ma non ancora al Senato, figurano l’incremento delle spese per la difesa, un’estensione permanente dei tagli fiscali del 2017, esenzioni fiscali per straordinari e mance, tagli alla spesa sanitaria e, soprattutto, un incremento di 4 mila miliardi di dollari del tetto massimo all’indebitamento.
Secondo un’analisi del Committee for a Responsible Federal Budget, nel complesso il piano aggiungerebbe 5200 miliardi di dollari al debito statunitense entro il 2034. Il deficit del bilancio pubblico salirebbe dal 6,3% del PIL nel 2024, un livello già elevato, al 7% sia nel 2026 che nel 2027.
Anche se il debito continuerà a crescere rapidamente e il rapporto debito/ PIL ha raggiunto il 123% alla fine dello scorso anno, il livello più alto dal 1946, la capacità degli Stati Uniti di rimborsare il debito non è in discussione.
Inoltre, l’amministrazione Trump potrebbe diluire alcune misure in caso di un’impennata dei rendimenti dei Treasury. Anche la Federal Reserve sta valutando la possibilità di consentire alle banche di detenerli senza deduzioni dai coefficienti di riserva, un passo che potrebbe creare una maggiore domanda di Treasury e contribuire a far scendere i rendimenti.
Tuttavia, l’aumento del debito pubblico potrebbe pesare sul dollaro, sul quale rinnoviamo la nostra cautela. Del resto, lo stesso Trump in campagna elettorale ha espresso la sua preferenza per un dollaro debole per aumentare la competitività della manifattura americana.
Nel complesso, riteniamo che questo scenario sia coerente con un rallentamento della crescita statunitense all’1,5% circa quest’anno, dal 2,8% del 2024. Gli stimoli fiscali sia in Europa che in Cina dovrebbero compensare parzialmente l’effetto negativo dei dazi sull’attività economica. Prevediamo una crescita del PIL dello 0,7% nella zona euro e di circa il 4% in Cina.
Il recupero della borsa americana delle ultime settimane, a nostro avviso, è giustificato, anche se sono possibili ulteriori fasi di volatilità vista l’elevata incertezza. Siamo complessivamente neutrali sull’azionario, ma vediamo opportunità in alcuni temi di lungo termine come intelligenza artificiale, elettrificazione e longevità.
I rendimenti dei Treasury e delle obbligazioni in dollari potrebbero aumentare a causa dei deficit più elevati. Nel comparto obbligazionario è sempre consigliabile evitare il rischio valutario, soprattutto in questa fase in cui ci aspettiamo un dollaro debole. Restando sull’euro, riteniamo che vi siano opportunità nelle obbligazioni di buona qualità, quindi investment grade, con scadenze medie.
Redazione
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