Michael Talbot, Fixed Income Investment Specialist at M&G Investments

 

 

Abbiano notato, di recente, che i dazi non sono determinati solo da considerazioni economiche, ma sempre più da motivi politici.

Michael Talbot

Il mio obiettivo è mostrare come i dati principali possano essere fuorvianti, mettendo in evidenza le differenze tra due paesi in particolare, il Brasile e il Vietnam, che sembrano trovarsi agli estremi opposti dello spettro tariffario.

Sulla carta, il Brasile deve affrontare dazi al 50% sulle proprie esportazioni verso gli Stati Uniti. Mentre il Vietnam solo del 20%, a seguito di un accordo commerciale con gli stessi Stati Uniti.

A un’analisi superficiale basata solo sui dati principali si potrebbe concludere che l’economia brasiliana sarà colpita più duramente di quella vietnamita. Tuttavia, un’analisi più approfondita dei dettagli e delle motivazioni alla base di queste tariffe rivela un quadro completamente diverso.

Quando Trump ha introdotto per la prima volta i dazi in occasione del Liberation Day, la logica era semplice, anche se leggermente fuorviante: colpire i paesi con grandi surplus commerciali nei confronti del proprio Paese, ovvero le nazioni che esportano più di quanto importino dagli Stati Uniti.

In base a questo approccio, al Brasile fu applicato il minimo del 10% a causa del suo deficit commerciale con gli Stati Uniti. Mentre il Vietnam avrebbe dovuto affrontare un’imposizione del 44%, che riflette il suo ampio surplus commerciale con gli USA. Fin qui tutto bene.

Ma oggi, a soli quattro mesi dal Liberation Day, la situazione è molto diversa. Questo capovolgimento riflette il mutamento della portata dei dazi, che da strumento economico sono diventati uno strumento politico volto a influenzare questioni sovrane oltreoceano.

Quanto sono cambiati i livelli dei dazi tra il Liberation Day e oggi?

Notiamo, dalle nostre rilevazioni, che Brasile e India si distinguono per aver ricevuto un incremento dei dazi, determinato da fattori politici: l’India per il suo continuo acquisto di petrolio russo e il Brasile per ragioni che discuteremo più avanti.

Per quei Paesi che invece hanno subìto diminuzioni, il fattore determinante è stato la stipula di accordi commerciali con l’amministrazione statunitense.

L’ultima escalation in Brasile è avvenuta dopo l’incriminazione dell’ex presidente Jair Bolsonaro, con l’accusa di aver tentato un colpo di Stato per ribaltare le elezioni del 2022, che lo hanno visto sconfitto da Luiz Inácio Lula da Silva.

I pubblici ministeri hanno accusato Bolsonaro e i suoi alleati di aver pianificato l’annullamento dei risultati elettorali, accuse accolte dalla Corte Suprema brasiliana a inizio 2025. La risposta degli Stati Uniti non si è fatta attendere: dazi come arma politica per sostenere Bolsonaro, uno dei suoi più stretti alleati. Non è un territorio nuovo per Trump. Da tempo considera i dazi uno strumento di pressione. Ma la rapidità e la severità di quest’ultima mossa sottolineano quanto la politica commerciale sia ormai lontana dall’ottica dei dazi.

Tuttavia, nonostante lo scalpore destato dal dazio al 50%, il suo impatto economico sul Brasile sarà relativamente modesto. Con esportazioni verso gli USA che si attestano a meno del 10% del totale, gli Stati Uniti infatti non rappresentano un partner commerciale importante per il Brasile, che si conferma una tra le economie emergenti più chiuse.

Inoltre, la maggior parte delle esportazioni brasiliane di alto valore verso gli Stati Uniti, come i prodotti energetici, gli aeromobili e i materiali industriali, si confermano al 10% poiché esenti dal dazio elevato.

L’aliquota del 50% colpisce principalmente i prodotti agricoli come il caffè e la carne bovina, che, sebbene simbolici, rappresentano una quota minore del portafoglio commerciale complessivo del Brasile.

Pertanto, i dazi rappresentano più una mossa politica che un ostacolo economico per il Brasile. Per questo motivo, è molto improbabile che Lula ceda.

Il Vietnam, invece, è molto più esposto. Gli Stati Uniti sono il principale mercato di esportazione per questo Paese, assorbendo circa il 30% delle sue esportazioni totali, principalmente nei settori dell’elettronica, dei tessili e dell’arredamento. Anche a seguito del recente accordo commerciale che ha fissato un tetto massimo del 20% ai dazi (in calo rispetto al 44% inizialmente previsto), l’impatto è significativo perché l’economia vietnamita dipende fortemente dalla domanda statunitense.

A ciò si aggiunge la complessità delle norme sul trasbordo, che impongono dazi del 40% sulle merci sospettate di essere di origine cinese, con un conseguente aumento dei costi di conformità. Per il Vietnam si tratta di una sfida strutturale che peserà sulla propria economia.

Il divario di vulnerabilità diventa ancor più evidente se si osservano i saldi commerciali. Dal 2018, il surplus del Vietnam nei confronti degli Stati Uniti è aumentato vertiginosamente, conseguenza diretta dello spostamento delle catene di approvvigionamento durante la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina nel 2018-19. Il Brasile, al contrario, ha mantenuto costante il proprio deficit.

Di fronte a queste diverse vulnerabilità, cosa ci dicono i mercati?

Il costo dell’assicurazione sul debito vietnamita e brasiliano è diminuito dall’inizio dell’anno, ma in misura maggiore per il Brasile. Nello stesso periodo, il real brasiliano si è rafforzato rispetto al dollaro di circa il 14,5%, mentre il dong vietnamita si è indebolito di circa il 3%.

Ora, le valute e gli spread creditizi sono influenzati da una serie di fattori, quindi sarebbe sbagliato affermare che questi movimenti siano interamente un riflesso diretto dei dazi. Ma i mercati sono un buon barometro dello stress, e se ci fossero timori reali per l’economia brasiliana dopo l’aumento dei dazi, potremmo aspettarci di vedere queste paure riflesse nei prezzi dei cambi o del credito… ma non è così.

Conclusione

Sebbene i dazi possano dominare i titoli giornalistici, raramente riescono a cogliere il quadro completo. Il Brasile e il Vietnam offrono un esempio di come i dati superficiali non rispecchino l’impatto economico reale. Come abbiamo visto, il forte aumento dei dazi in Brasile è più un segnale politico che una punizione economica. Mentre l’onere apparentemente più leggero per il Vietnam comporta conseguenze molto più pesanti a causa della propria dipendenza strutturale dal commercio con gli Stati Uniti.

Come stiamo constatando nell’attuale contesto politico, in cui la politica commerciale degli Stati Uniti si sta sempre più allontanando dalle basi economiche, non è sufficiente monitorare i dati numerici. E’ necessario, invece, comprendere le clausole scritte in piccolo che determineranno l’impatto complessivo. Solo così potremo distinguere il rumore dal segnale.


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Stefania Basso

Laureata all'Università Statale di Milano, dal 2006 collaboro con Fondi&Sicav. Lunga esperienza nel settore del risparmio gestito come marketing manager presso Franklin Templeton Investments e J.P. Morgan Fleming Am a Milano e a Lussemburgo. Breve esperienza presso Lob Media Relations come ufficio stampa per alcune realtà finanziarie estere. In tutto il mio percorso professionale ho lavorato a stretto contatto con persone provenienti da diverse parti del mondo, che mi hanno permesso di avere un approccio dinamico e stimolante e di apprendere attraverso il confronto con realtà differenti.