I dazi non fanno pausa ai giganti mondiali. Molte multinazionali sono ben posizionate per affrontare la tempesta – semplicemente perché navigano acque turbolente già da anni.  Jody Jonsson, Equity Portfolio Manager di Capital Group

azionario europeo

Molte multinazionali stanno sviluppando un approccio ‘multi-local’ al business, avvicinandosi ai clienti nei Paesi in cui operano. Stanno trovando nuove modalità per adattarsi e avere successo indipendentemente dalle circostanze.

L’ultimo esempio è il colosso industriale tedesco Siemens, che ha recentemente inaugurato un impianto di produzione di apparecchiature elettriche da 190 milioni di dollari a Fort Worth, Texas. Le società statunitensi, che notoriamente fabbricano i loro prodotti all’estero, stanno adottando il medesimo approccio. Apple ha recentemente annunciato che investirà 500 miliardi di dollari in nuovi impianti di produzione negli USA nei prossimi quattro anni.

Europa, prossima a un contesto normativo più orientato agli investimenti

L’Europa non dipende solamente dai settori della Old Economy. Infatti, gli ultimi ranking globali mostrano che sette dei primi 10 Paesi in termini di innovazione sono europei.

Le società farmaceutiche europee sono da tempo associate all’innovazione: Novo Nordisk è stata la prima a lanciare i farmaci GLP-1 per il diabete e la perdita di peso e la britannica AstraZeneca ha un franchise oncologico pionieristico. La francese EssilorLuxottica, proprietaria di Ray-Ban e altri marchi eyewear, sta sviluppando i propri smart glass.

Considerando le incertezze sui dazi, una ripresa significativa della crescita in Europa potrebbe non concretizzarsi fino al 2026. Ma un contesto normativo più orientato agli investimenti potrebbe segnare un cambiamento decisivo rispetto al passato.

Il Giappone è ben posizionato per emergere come leader globale

Il livello medio dei dazi del Paese era tra i più bassi al mondo all’inizio del 2025, segno del potenziale per trattative proficue in un contesto di crescenti timori di una guerra commerciale.

Negli ultimi anni, il Giappone ha siglato numerose partnership economiche e accordi di libero scambio con blocchi come l’Unione Europea e diverse nazioni dell’Asia Pacifico. Oltre l’87% degli scambi commerciali del Giappone interessa Paesi che hanno firmato (o stanno negoziando) un EPA o FTA.

Il Giappone ha inoltre siglato accordi commerciali e digitali con gli Stati Uniti durante il primo mandato di Trump, e i due Paesi continuano a collaborare in aree come le reti 5G, l’esplorazione dello spazio e la ricerca medica.

Le principali aziende giapponesi stanno inoltre costruendo impianti produttivi negli USA, a supporto di uno dei principali obiettivi dell’amministrazione Trump. Ad esempio, il produttore di sistemi per il condizionamento dell’aria e la refrigerazione Daikin ha aperto un impianto a Houston.

Le società giapponesi hanno annunciato investimenti per circa 1.000 miliardi di dollari negli USA, e ne prevediamo altri nei prossimi mesi.

Questo non significa che non ci sono rischi. Il Giappone rimane un grande esportatore: il 20% dei suoi beni è diretto verso gli USA – e il 30% sono automobili. Più a lungo durano i dazi, maggiore è il rischio che possano ostacolare la reflazione in atto nell’economia giapponese.


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