Negli USA si è raggiunto un accordo per estendere il tetto del debito al costo di una manovra di austerità molto gestibile. Gilles Moëc, Group Chief Economist di AXA Investment Managers

Il Presidente Biden e il Presidente della Camera McCarthy hanno trovato un accordo per estendere il tetto del debito di due anni, in cambio di una svolta verso l’austerità che sembra abbastanza gestibile. Domenica sera mancavano ancora i dettagli, ma sembra che la spesa federale possa essere tagliata solo dello 0,3% del PIL nel 2024 rispetto alla previsione di base dell’Ufficio di Bilancio del Congresso. Dal punto di vista della crescita a medio termine, un elemento chiave è che l’accordo lascia inalterato l’Inflation Reduction Act.

I Democratici dovranno accettare un’estensione limitata dell’obbligo di lavoro per alcuni beneficiari di aiuti federali e un taglio alle risorse aggiuntive destinate all’Internal Revenue Service (Agenzia delle Entrate statunitense) per combattere l’evasione fiscale.

Naturalmente entrambi i partiti dovranno fare a meno delle rispettive frange estreme per far passare il provvedimento. I tempi sono stretti, anche con la “data X” spostata al 5 giugno, e possiamo aspettarci qualche tensione, ma è probabile che Biden e McCarthy abbiano i numeri per far passare il provvedimento al Congresso. Notiamo tuttavia che l’intero dibattito si è concentrato su una frazione molto piccola della spesa federale statunitense. La deriva a lungo termine delle finanze pubbliche statunitensi non è ancora stata affrontata.

È improbabile che le ramificazioni fiscali di questo accordo, se confermato, spostino le prospettive macroeconomiche della Fed. Tuttavia, il FOMC apprezzerà la prospettiva di non dover invertire la rotta sul Quantitative Tightening – anche solo temporaneamente – per far fronte a un mancato accordo, anche se un recupero delle emissioni potrebbe innescare una certa tensione sulla liquidità nel breve periodo. Alcuni dati recenti hanno messo in dubbio lo scenario della “pausa a giugno”.

Concordiamo sul fatto che si tratta di un’ipotesi molto vicina, ma alcune sorprese positive, come diversi segnali di ripresa del mercato immobiliare, non sembrano sostenibili. Continuiamo a pensare che il picco dei tassi sia già stato raggiunto, anche se un’ulteriore moderazione nei dati sui salari contribuirebbe a consolidare la pausa.

La Germania, intanto, è in recessione. Si può perdonare all’opinione pubblica tedesca di non essersene accorta, dato che il mercato del lavoro, a prima vista, sembra essere rimasto impermeabile alla recessione. Tuttavia, riteniamo che il punto di svolta potrebbe non essere così lontano. Una maggiore consapevolezza del deterioramento delle condizioni economiche sarebbe in realtà benvenuta, in quanto potrebbe spingere i sindacati a riprendere il loro approccio “prima i posti di lavoro, poi i salari” e contribuire a contenere l’inflazione.


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Redazione

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