Eltif e Fia sono fondi costruiti per incanalare il risparmio nelle piccole e medie imprese. Caratterizzati da illiquidità e un livello di rischio necessariamente alto, sono riservati a un pubblico di investitori privati e istituzionali dotato di ampi capitali. Finora hanno riscosso un interesse un po’ inferiore alle aspettative, ma alcune società di grandi dimensioni li stanno proponendo alla loro clientela e stanno traendo interessanti risultati. Ecco tre esperienze italiane significative

Quasi tutte le reti di distribuzione di prodotti finanziari ritengono che sia di grande importanza fornire alla loro clientela private investimenti privati illiquidi basati sull’economia reale. Questa strategia viene considerata, in uno dei periodi più difficili della storia per il mercato obbligazionario, una delle poche alternative capaci di portare quei rendimenti che il reddito fisso non è più in grado di fornire.  In effetti le piccole e medie imprese in cerca di capitali, sia sotto forma di private debt, sia nella versione private equity sono in grado di dare sul lungo periodo performance molto interessante, anche se il grado di rischio è necessariamente più alto.

E proprio per fornire uno strumento a questo tipo di risparmiatore, sono stati creati gli Eltif e i Fia. I primi,  European Long-Term Investment Funds (fondi di investimento europei a lungo termine) sono fondi chiusi che investono prevalentemente su titoli europei di aziende non quotate o presenti su listini riservati alle piccole e piccolissime capitalizzazioni. In realtà, questo strumento, che potrebbe avere un impatto estremamente interessante sull’economia reale, per il momento non ha avuto un enorme successo.  «Ai fondi d’investimento europei a lungo termine, costruiti per incanalare maggiori risorse verso l’illiquido rendendo l’investimento disponibile a un gruppo più ampio di risparmiatori, finora è mancata la scintilla», afferma Assogestioni. «Il regolamento Eltif è entrato in vigore nel dicembre 2015. Da allora, sono pochi gli Eltif lanciati con successo dai gestori di fondi. A livello europeo, Efama certifica che ne sono stati istituiti circa 28, con masse in gestione mediamente inferiori a 2 miliardi di euro. Numeri che attestano come il regolamento Eltif non abbia ancora raggiunto l’obiettivo di stimolare gli investimenti europei a lungo termine nell’economia reale. Ciononostante, Assogestioni ritiene che il regime Eltif, se adeguatamente adattato, possa diventare un potente strumento per raggiungere alcuni degli obiettivi fissati a livello europeo dal progetto dell’Unione dei mercati dei capitali (la cosiddetta Cmu) e rappresentare un veicolo attraente per gli investitori in un contesto di tassi di interesse bassi o negativi, destinato a perdurare nel medio-lungo termine».

Non molto dissimili i Fondi di investimento alternativi (Fia), strumenti di risparmio gestito che puntano su titoli non quotati, e che consentono così una quasi totale decorrelazione con i mercati. Chiaramente anche in questo caso il livello di rischio è alto e l’investitore deve essere consapevole che utilizzando questa formula blocca una parte dei suoi investimenti per un ampio numero di anni.

Questi due prodotti finanziari, dopo alcuni anni di presenza sui mercati, come rilevato da Assogestioni, non hanno avuto un altissimo numero di consensi, nonostante molte reti puntino in maniera sempre più decisa a collegare l’economia reale con il risparmio. In generale sono stati offerti soprattutto da grandi strutture di distribuzione e rappresentano ancora uno strumento non particolarmente conosciuto. A parlarne sul numero 138 di Fondi&Sicav sono tre manager di alcune delle più importanti e avanzate realtà finanziarie italiane: Alessio Bucco responsabile Investment center per il Polo del private banking di Credem e Banca Euromobiliare, Marco Bernardi, vicedirettore generale di Banca Generali e Gianluca La Calce, responsabile marketing e sviluppo offerta di Fideuram–Intesa Sanpaolo Private Banking.

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Redazione

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