Le possibilità di ripresa per l’Europa, nonostante la Brexit, sarebbero buone: l’arrivo di un presidente negli Usa con una politica favorevole nei confronti del Vecchio continente rappresenta una novità di grande interesse, dopo gli anni difficili con Trump. Anche sul piano economico l’intera area avrebbe molto da esprimere sulla spinta delle attuali politiche fiscali e monetarie. L’incognita Covid, però, potrebbe fare saltare tutto, soprattutto se la gestione del vaccino si dimostrasse più complicata del previsto
Le previsioni per la ripresa economica europea nel 2021 appaiono da molti mesi dipendenti da una sola grande variabile: l’epidemia di Covid 19. Dopo l’intensa ripresa del terzo trimestre del 2020, infatti, la seconda ondata ha portato a parziali chiusure in quasi tutto il pianeta (incluse diverse super-economie asiatiche) con effetti nefasti sul Pil. L’intensificarsi dei casi durante il picco dell’inverno ha fatto sì che pure nel primo quarto dell’anno si debba proseguire in una condizione ben lontana dalla normalizzazione, specie tra le principali economie del Vecchio continente, come l’Italia, il Regno Unito e la Germania, finora il paese dell’Europa occidentale meno colpito dal Covid.
La prima lettura dei dati per il 2020 ha visto un calo del Pil pari a -6,8% nell’Eurozona, mentre per quest’anno si prevede un aumento del 4,6%. All’interno del variegato insieme delle nazioni aderenti all’euro, ovviamente si trovano situazioni alquanto eterogenee: la Spagna ha messo a segno una discesa del 9,1%, a causa della dipendenza della propria economia da servizi come il turismo. La Francia ha registrato un decremento del 8,3%, mentre la Germania dovrebbe quasi riuscire a parare il colpo, assestandosi intorno a -5,0%.
Quest’ultimo dato può forse sorprendere, poiché la maggiore potenza industriale europea vanta un’economia piuttosto ciclica. Non va però dimenticato che la Repubblica federale ha a disposizione una potenza di fuoco neppure paragonabile, rispetto al resto d’Europa, in termini di capacità di sostegni fiscali, a testimonianza del fatto che, se non si fossero messe in campo misure eccezionali, la contrazione globale sarebbe stata notevolmente peggiore. Infine l’Italia ha chiuso il 2020 con -8,8%. Fanalino di coda in Europa il Regno Unito, con -9,9%, peggiore calo dal 1709.
Alla fine del 2021
Come si può capire, con ogni probabilità si tornerà ai livelli di fine 2019 non prima della fine del 2021, se non nel 2022. Tutto ciò, però, nell’ipotesi di una normalizzazione graduale, ma tutto sommato rapida, nel corso di quest’anno. Per giungere al traguardo del ritorno allo stadio pre-crisi in un’Europa che vanta un gigantesco settore dei servizi particolarmente sensibile alle restrizioni dovute alla pandemia, sarà assolutamente cruciale portare a termine con successo il processo di vaccinazione della popolazione.
In particolar modo di sicuro aiuterebbero molto alcuni elementi: da una parte la somministrazione in tempi rapidi di prodotti efficaci in grado di bloccare sintomi e trasmissione e dall’altra il fatto di non essere costretti a gestire nuove mutazioni che impongono di aggiornare i vaccini in maniera troppo profonda. Il rischio è infatti di finire impelagati in un processo di inoculazione lungo a sufficienza da costringere a lockdown (o semi-lockdown) ancora per parecchio tempo, per arrivare poi a gestire nuove mutazioni ed essere costretti a riprendere tutto da capo.
Un’interessante sintesi della situazione macro globale viene fornita dal team di analisi di Nn Investment Partners: «Essenzialmente pensiamo che il mondo abbia davanti tre possibili alternative: quella che chiamiamo pieno ritmo, uno scenario per noi centrale, l’intermedia, che definiamo come velocità di crociera, e, infine, la peggiore, ossia la continua stagnazione». Se ci soffermiamo appunto sull’ipotesi intermedia, vediamo che prevede un passo costante nelle vaccinazioni, che dovrebbe portare a una graduale riduzione delle misure di restrizione a movimenti e attività. In questa maniera si potrebbe arrivare agli incrementi del Pil previsti dal consensus grazie anche alle continue misure di sostegno fiscale.
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Boris Secciani
Nato a Bologna nel 1974, a Milano ho completato gli studi in economia politica, con una specializzazione in metodi quantitativi. Ho cominciato la mia carriera come broker di materie prime negli Usa, per poi proseguire come trader sul forex. Tornato in Italia ho partecipato come analista e giornalista a diversi progetti. Sono in FONDI&SICAV dalla sua fondazione, dove opero come Responsabile dell'Ufficio Studi. I miei interessi si incentrano soprattutto sul mondo dei tassi di interesse e del reddito fisso, sulla gestione del rischio di portafoglio e sull'asset allocation.

