Federico Domenichini, head of advisory Italy di T.Rowe Price, individua in alcune obbligazioni, come gli high yield emergenti, la possibilità di investire anche con l’inflazione. Anche se con un’ottica di medio termine
Come vi state muovendo a livello tattico nell’attuale scenario stagflativo? Quali conseguenze vi saranno sul lungo periodo?
«In generale nell’immediato, soprattutto per gli investitori retail, è bene mantenere quanto più sangue freddo possibile. I dati, infatti, tendono a mostrare che le decisioni prese nelle fasi di elevata volatilità portano generalmente a perdite. Sul medio periodo, dai tre ai cinque anni, la priorità è senz’altro riuscire a evitare l’erosione dei propri capitali da parte dell’inflazione. Se la Federal Reserve mantenesse nei prossimi mesi quanto promesso, non è improbabile che si arrivi a uno scenario pienamente stagflativo. Nella maggior parte dei casi, in America un’inflazione superiore al 5% con piena occupazione si traduce in una recessione nel giro di due anni. In uno scenario del genere una delle scelte che consigliamo è guardare ad alcuni comparti del credito».
Può fare qualche esempio?
«Pensiamo che diverse emissioni high yield, se accompagnate a una gestione attiva della duration, possano costituire una valida opzione. Infatti, specialmente fra gli emergenti, vi sono oggi obbligazioni che pagano un rendimento del 6-7% annuo, accompagnato da un elevato carry. Il tutto con una duration intorno a quattro anni. Con una Fed così aggressiva, è probabile che i prossimi mesi risulteranno molto volatili. Di conseguenza questi titoli potrebbero vedere fluttuazioni non indifferenti di prezzo. Su un orizzonte temporale di almeno tre anni, però, questa volatilità è attutita dall’income, oltre che dalla progressiva minore vita residua dello strumento».
Conviene ancora investire nella sostenibilità, visti i corsi elevatissimi delle materie prime?
«Il tema della sostenibilità rimane, per fortuna, importantissimo. Forse però negli ultimi anni si sono fatte stime tropo ottimistiche sulle tempistiche della transizione. In questo ambito probabilmente la situazione geopolitica e le sue conseguenze economiche porteranno a una dilatazione dei tempi. Di conseguenza per investire su questi temi è bene adottare un’ottica incentrata sul lungo periodo».
Stiamo arrivando a una riduzione della globalizzazione? Con quali conseguenze sui mercati?
«La globalizzazione come l’abbiamo conosciuta 15-20 anni fa, ai tempi dell’entrata della Cina nel Wto, probabilmente non esisterà più. Gli sviluppi recenti hanno infatti mostrato i limiti e i pericoli derivanti dall’appaltare la fornitura di merci fondamentali a un solo paese. Non è pensabile, infatti, continuare in futuro ad avere una Russia quasi monopolista del gas in Europa. Oppure a una Cina che produce la quasi totalità di diverse supply sanitarie. Allo stesso tempo, però, non è ipotizzabile neppure tornare a uno scenario di autarchia. Di recente Janet Yellen ha parlato di un cambiamento di paradigma dall’offshoring al friend-shoring. Intendendo in quest’ultimo termine un modello in cui le produzioni vengono delocalizzate solo in paesi politicamente alleati».
Redazione
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