a cura di Pinuccia Parini 

Francesco Conte, gestore del fondo Climate Change Solutions di JP Morgan Asset management, spiega come viene gestito il suo fondo classificato come articolo 9

Lei gestisce un fondo che, in base alla Sfdr, è classificato come art. 9. Si tratta di un impegno molto importante

“Lo è e richiede moltissime risorse per gestirlo. È possibile grazie a un team di sostenibilità che abbiamo al nostro interno e ci aiuta a verificare che le aziende in cui investiamo siano al 100% adeguate al tema oggetto del fondo. Quest’ultimo ha caratteristiche che lo distinguono dagli altri prodotti sostenibili, che tendenzialmente cercano le aziende che si stanno de-carbonizzando. Noi non adottiamo questo approccio, bensì investiamo in società che hanno la tecnologia per far sì che ciò avvenga. La stima per arrivare al “net zero” è pari a una spesa che potrebbe oscillare dai 175 ai 2.705 trilioni di Usd da qui al 2050, cifre da capogiro. Che cosa rappresentano? Si tratta di soluzioni per rendere possibile il raggiungimento degli obiettivi. Per il fondo tradizionale Esg, tale cifra rappresenta il costo che le aziende devono affrontare, per il nostro fondo, sono potenzialmente il fatturato delle imprese in cui investiamo”.

Come individuate queste società?

“Non è facile trovarle. Ci sono imprese nel mondo che sono molto ligie a seguire i criteri Esg, ma non producono di fatto le soluzioni per far sì che ciò che stanno perseguendo sia materialmente realizzabile. Se si guarda alla curva tasso di adozione/tempo, l’informazione che se ne trae è che bisogna investire in una impresa nelle fasi iniziali, ovvero in aziende che hanno appena avviato lo sviluppo di una nuova tecnologia (e.g.: carbon capture, idrogeno verde). L’aspetto però da non sottovalutare è che queste tecnologie, oggi come oggi, costano ancora molto e hanno un basso fatturato. Ciò non significa che non saranno dirompenti perché, ad esempio, ritengo che l’idrogeno verde farà per l’ambiente ciò che il 3G ha fatto per il telefonino. Il punto di domanda è quando la tecnologia che adottano diventerà veramente competitiva e il tempo è una variabile non trascurabile. Noi cerchiamo le opportunità in imprese che hanno fatturati elevati e, nel mio mondo, ciò vuol dire aiutare il pianeta in modo incisivo. Sono società la cui tecnologia è già competitiva e, tendenzialmente, sono realtà industriali. Almeno il 20% del loro fatturato deve essere dedicato a soluzioni che affrontano il tema del cambiamento climatico”.

Potrebbe fare degli esempi?

“Basterebbe guardare al settore dell’elettrificazione, che è importantissima per creare un’alternativa ai combustibili fossili. Questo è un aspetto generalmente poco considerato, perché le persone pensano solo alle fonti rinnovabili, dimenticandosi di tutto il mondo ad esse circostante. Se non ci fossero i cavi ad alta tensione, sarebbe impossibile portare l’energia eolica offshore a terra, la Danimarca non discuterebbe con la Norvegia su come scambiarsi le fonti eoliche e idriche. Le aziende che lavorano sulla rete e hanno il software/hardware per utilizzarla al meglio, giocano un ruolo fondamentale.  E ci potrebbero essere altri esempi, come nel caso nel riscaldamento e raffrescamento degli edifici, che richiede impianti ad alta efficienza, o le pompe a calore, che portano l’energia dal gas a elettrica”.

Gli ambiti in cui investite possono quindi essere diversi?

“Sì, dal settore agricolo a quello delle costruzioni, che operano nel settore dei trasporti sostenibili e dello sviluppo di tecnologie finalizzate alla riduzione dei rifiuti. Il caveat di fondo è che, nelle nostre decisioni di investimento, dobbiamo essere esposti, in modo abbastanza diretto, a società impegnate a favorire la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio”.


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Pinuccia Parini

Dopo una lunga carriera in ambito finanziario sul lato, sia del sell side, sia del buy side, sono approdata a Fondi&Sicav