Proiettare l’evoluzione dell’economia e dei mercati finanziari americani nel mezzo della più grave crisi internazionale degli ultimi 50 anni è difficile. Si può però provare a delinare quale potrebbe essere l’impatto di uno scenario non troppo disastroso sulle tendenze di fondo che si sono osservate nelle prime settimane del 2022, come potrebbe reagire la Federal Reserve e quali sono le conseguenze più probabili sui titoli azionari e obbligazionari Usa. Ne parla Paolo Zanghieri, senior economist di Generali Investments.
Qual è la situazione economica degli Usa?
«Le informazioni più recenti sull’attività economica a gennaio risentono ancora della rapida uscita dalla pandemia. I consumi delle famiglie sono cresciuti del 5% in termini reali rispetto all’anno scorso e la progressiva riattivazione dei settore dei servizi sostiene il rapido recupero dell’occupazione. Il tasso di disoccupazione scende rapidamente e ha raggiunto il 4%, non troppo distante dal minimo storico del 3,5% registrato nel febbraio 2020 appena prima dello scoppio della pandemia. Il mercato del lavoro mostra però evidenti segni di surriscaldamento: in media, in corrispondenza di tre offerte di lavoro, esistono solo due persone in cerca di occupazione, un livello di squilibrio tra domanda e offerta mai osservato prima. Con la fine delle preoccupazioni per la pandemia, è probabile un aumento significativo delle persone che ricominceranno a cercare lavoro, ma sicuramente il forte numero dei prepensionamenti ridurrà l’offerta di occupazione. Nel frattempo, i salari crescono in maniera significativa, a ritmi annuali del 4%. Senza un chiaro aumento della produttività, possibile in seguito ai forti investmenti in It durante la pandemia, ma non scontato, tutto ciò si tradurrà in rilevanti pressioni inflazionistiche».
Perciò l’impatto dell’inflazione può essere determinante.
«È proprio l’inflazione il fattore di rischio maggiore per l’economia statunitense. A gennaio l’indice ha raggiunto il 7%, valore che si attesta al 6%, se si escludono cibo e carburanti (inflazione core). Un contributo rilevante è dato ancora dagli strozzamenti nella catene globali di produzione, eredità della pandemia, che trascinano verso l’alto il prezzo dei beni, ma cominciano a pesare fattori legati più strettamente al ciclo economico. Sottolineiamo, in particolare, la componente dei costi per l’abitazione, soprattutto gli affitti, che cresce a ritmi superiori al 4%. L’inflazione, in questo settore, che pesa per il 40% dell’indice core, è destinata a restare alta, vista la continua crescita dei prezzi delle abitazioni, prossima al 20% annuale, che si rifletterà sugli affitti. A ciò ovviamente si aggiunge la componente globale, in particolare i corsi dell’energia e delle altre materie prime. L’invasione dell’Ucraina aggiunge stress a un mercato che già soffriva di un’offerta che faticava a tenere il passo con la domanda, con prezzi ai livelli più alti da oltre 10 anni. Ci aspettiamo una moderazione, nella seconda metà dell’anno: un ribilanciamento della domanda a favore dei servizi e il ripristino del commercio mondiale allenteranno le tensioni sul prezzo dei beni e l’aumento delle persone che rientrano nel mondo del lavoro dovrebbe moderare la crescita dei salari. Tuttavia, l’inflazione difficilmente scenderà al di sotto del 4% alla fine del 2022».
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Redazione
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