L’asset class offre un flusso cedolare costante e i vantaggi della capitalizzazione nel tempo. A colloquio con Laurent Calvet, Head of Fixed Income Strategies di Tikehau Capital

 

Gli high yield bond stanno evidenziando un buon livello di resilienza nei periodi di maggiore incertezza dei mercati finanziari. A quali fattori imputate questa forza?

All’indomani del “Liberation Day” di inizio aprile, i mercati azionari hanno registrato una brusca correzione — con gli indici statunitensi ed europei che hanno registrato perdite di circa il -12%[1]. Al contrario, le obbligazioni high yield europee si sono dimostrate molto più resilienti, limitando le perdite al 2,2%. Questa performance sottolinea la loro capacità di resistere a periodi di incertezza finanziaria, guidata da diversi fattori fondamentali.

In primo luogo, la sensibilità dei bond HY ai tassi d’interesse — la loro duration — ha svolto un ruolo di ammortizzatore. Nei momenti di stress di mercato, i tassi tendono a scendere poiché gli investitori si rifugiano in asset considerati più sicuri. Questo calo sostiene i prezzi delle obbligazioni, contribuendo almeno in parte a compensare l’effetto negativo dell’allargamento degli spread di credito.

In secondo luogo, le pressioni legate ai rifinanziamenti rimangono contenute. Il tanto discusso “muro delle scadenze”, precedentemente atteso nel 2025-2026, è ora slittato al 2028-2029. Questo spostamento è dovuto alla forte attività del mercato obbligazionario primario, particolarmente vivace nel 2024 e ancora solido quest’anno. La maggior parte delle nuove emissioni è stata finalizzata al rifinanziamento del debito esistente, alleviando le preoccupazioni a breve termine sulla capacità delle imprese di ottenere finanziamenti a condizioni favorevoli.

Infine, il mercato HY è ancora sostenuto da solidi fattori tecnici. Da quando i tassi hanno iniziato a salire, nel 2022, l’asset class ha attirato afflussi significativi, mentre l’offerta è rimasta contenuta, in particolare a causa del rallentamento delle attività di M&A e di leveraged buyout. Questo squilibrio tra domanda e offerta ha sostenuto il mercato, spingendo gli investitori a interpretare le correzioni dei prezzi come opportunità di acquisto.

Detto questo, non tutte le aree del mercato HY hanno avuto la stessa performance. La recente correzione post-Liberation Day ha evidenziato una notevole dispersione settoriale. Le obbligazioni di emittenti appartenenti a settori ciclici o esposti ai dazi – come automotive, chimica, energia, packaging e trasporti – hanno sottoperformato significativamente, penalizzate da un più marcato allargamento degli spread creditizi. Al contrario, gli emittenti di settori meno esposti – come telecomunicazioni, healthcare e servizi – si sono dimostrati più resistenti, riflettendo una percezione più favorevole del rischio di credito da parte degli investitori.

Ritenete che gli attuali rendimenti cedolari offerti dai titoli appartenenti all’asset class possano essere considerati interessanti?

Dopo un decennio in cui è stato percepito principalmente come uno prodotto a spread, il credito HY si è trasformato in una vera e propria asset class da rendimento, grazie all’aumento dei tassi d’interesse. Sebbene la BCE abbia già tagliato i tassi di 200 punti base (da giugno 2024), si prevede che nel medio termine questi rimangano elevati rispetto al decennio passato.

A nostro avviso, il credito HY merita un ruolo strategico nei portafogli, in quanto offre i vantaggi di un flusso cedolare costante e della capitalizzazione nel tempo.

Anche dopo due anni di performance considerate solide e premi per il rischio che appaiono compressi rispetto ai range recenti, i rendimenti all-in — che sommano spread di credito e tassi base — restano storicamente attraenti, attestandosi attorno al 5,3%.

Per quanto riguarda gli spread attuali, esistono due modi di interpretarne il livello. Il primo è empirico: da un punto di vista storico, gli spread odierni non sono particolarmente generosi e il margine per un ulteriore restringimento appare limitato.

Il secondo approccio è più teorico. Dato che uno spread di credito rappresenta il rendimento aggiuntivo percepito dagli investitori per assumersi un rischio di default maggiore rispetto a un asset meno rischioso, la vera questione è se gli spread attuali riflettano adeguatamente il rischio di default atteso.

Utilizzando due ipotesi semplici — un tasso di default del 3% per il mercato HY europeo (la media storica a 20 anni) e una perdita in caso di default del 70% — si ottiene un fair value dello spread pari a 210 punti base (3% x 70%). A fronte degli spread attuali di circa 304 punti base, ciò suggerisce che non siano poi così compressi come sembrano.

Mantenendo l’ipotesi di una perdita del 70%, gli spread odierni implicano che il mercato stia prezzando un tasso di default futuro di circa il 4,3% nel segmento HY europeo — un valore nettamente superiore rispetto all’attuale 2,5%. In altre parole, in assenza di una recessione in Europa, gli spread attuali sembrano offrire un margine ragionevole a copertura del rischio di default e continuano a rappresentare una remunerazione equa per gli investitori.

[1] Fonte: Bloomberg


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Rocki Gialanella

Laurea in Economia internazionale presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’. Ho abbracciato il progetto FondiOnline.it nel 2001 e da allora mi sono dedicato allo sviluppo/raggiungimento del target che ci eravamo prefissati: dare vita a un’offerta informativa economico-finanziaria dal linguaggio semplice e diretto e dai contenuti liberi e indipendenti. La storia continua con FONDI&SICAV.