I recenti timori riguardo all’euforia suscitata dall’intelligenza artificiale negli Stati Uniti confermano la nostra posizione. Vincent Mortier, Group Cio, Monica Defend, Head of Amundi Institute

 

azionario tecnologico Usa

 

Riteniamo che gli investimenti per l’AI stiano spingendo l’economia americana, ma non stiano creando nuovi posti di lavoro. Inoltre il supporto della politica monetaria e fiscale potrebbe contribuire a stabilizzare l’economia, ma i rischi di dominio della politica fiscale e di repressione finanziaria persistono.

In un contesto in cui la crescita statunitense sta rallentando, ma non in modo marcato, e in cui le valutazioni azionarie sono elevate, rimangono comunque delle opportunità; il fattore cruciale rimane la diversificazione, con una rotazione dai segmenti che presentano una forte concentrazione verso le classi di attivi a maggiore redditività. Questo si accompagna alle sfide all’eccezionalismo statunitense che sul lungo periodo potrebbero riflettersi in un indebolimento del dollaro.

Il quadro della crescita statunitense presenta luci e ombre. Gli investimenti nell’AI sono positivi, ma i consumi e il mercato del lavoro evidenziano segnali di debolezza.

Sebbene quest’anno i percettori di redditi alti abbiano spinto la spesa, i consumi saranno impattati dalle difficoltà dei consumatori con redditi medio/bassi. A titolo di esempio i sussidi per la spesa sanitaria che scadranno a fine anno determineranno per queste famiglie un aumento dei costi per le spese legate alla salute. Inoltre il mercato del lavoro statunitense continuerà a indebolirsi e la crescita dei salari rallenterà. Non da ultimo, l’indipendenza della Fed continua a essere a rischio. Se la banca centrale americana cederà alle pressioni politiche, potrebbe tagliare i tassi di interesse più di quanto necessario sulla base di mere considerazioni economiche, con il rischio di disancorare le aspettative d’inflazione.

Nella zona Euro abbiamo rivisto al rialzo la crescita prevista per il 2025 dall’1,1% all’1,3% (in linea con le previsioni d’autunno della Commissione europea), ma vista la debole domanda interna preferiamo non modificare la nostra valutazione qualitativa.

Questa revisione è da ricondurre principalmente ai dati migliori del previsto nel terzo trimestre (Francia e Spagna), ma noi non modifichiamo la nostra opinione di fondo sull’economia dell’Eurozona. La domanda sta registrando miglioramenti assai lenti, trend coerente con un tasso di risparmio molto alto.  Inoltre, ad eccezione della Germania, il quadro fiscale in Europa è neutrale. Infine il contesto esterno che impatta sulle esportazioni verso gli Stati Uniti è ambiguo. Anche se la Corte Suprema impedisse a Trump di ricorrere ai poteri straordinari per implementare i dazi, lo stesso Presidente potrebbe sempre decidere di applicare dazi settoriali.

Nessuna revisione delle stime sull’inflazione nell’Eurozona e negli Stati Uniti.

Nel breve termine l’inflazione americana rimarrà superiore al target della Fed. Nell’Eurozona prosegue la disinflazione, e le stime dell’IPC (indice dei prezzi al consumo) complessivo per il 2026 si attestano attorno all’1,7%, mentre per il 2027 è atteso un aumento esiguo. Da notare che la BCE prevede per il 2027 un’inflazione all’1,9%, ma ciò dipenderà dall’implementazione dell’ETS2 (Emissions Trading System 2). Un eventuale slittamento dell’ETS2 oltre il 2027 potrebbe indurre la Banca Centrale a rivedere al ribasso le sue stime per l’inflazione per quell’anno. Per quanto riguarda l’inflazione statunitense, confermiamo che i dati dipenderanno sia dalla velocità a cui scenderà l’inflazione core dei servizi, sia dalla rapidità e dall’intensità con cui i dazi verranno trasferiti ai prezzi dei beni core.

 


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Redazione

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