Intervista a Giovanni Brambilla, responsabile degli Investimenti AcomeA Sgr
Perché ritiene che il mercato giapponese possa offrire un’interessante opportunità di investimento?
“Il Giappone è un’economia la cui crescita è relativamente contenuta, su cui pesa una demografia sfavorevole, visto il livello di invecchiamento della popolazione. Detto ciò, se si guarda al mercato azionario, nei confronti del quale si può dire ci sia una generale disaffezione da parte degli investitori, ritengo che vi si possano cogliere delle opportunità. Nello specifico, evidenzierei tre ragioni per cui sarebbe opportuno farlo. La prima riguarda le valutazioni che sono molto a sconto, sia rispetto agli indici mondiali, sia rispetto allo storico del mercato. Negli anni recenti c’è stato un significativo cambiamento dell’atteggiamento del management delle società, oggi molto più concentrato sulla redditività del business, anziché sul fatturato: spesso e volentieri si assistono a risultati aziendali che deludono in termini di ricavi, ma sorprendono per il miglioramento dei margini operativi e degli utili. Si è assistito a grandi imprese che hanno completamente rivisto la struttura del loro gruppo, tagliando i cosiddetti rami secchi, per focalizzarsi sulla parte di attività più strategica. La seconda ragione è legata alla volontà del Tokyo Stock Exchange (Tse) di creare degli indici ad hoc che tengano in considerazione l’incremento dell’efficienza finanziaria delle società. Quest’ultimo è un aspetto molto importante visto che il Giappone ha la percentuale più alta al mondo di imprese net cash( i.e.: che hanno più cassa che debito in posizione) in bilancio: la metà delle società quotate rientrano in questa categoria. Se, da un lato, il basso livello di indebitamento potrebbe essere letto in termini positivi, dall’altro, l’elevata presenza di liquidità rivela un’inefficienza nella gestione finanziaria. Penso che il lancio da parte del Tse di questi nuovi indici possa fungere da stimolo per le aziende e spingerle a rivedere le proprie politiche di bilancio”.
Le aziende come potrebbero utilizzare il cash che hanno a disposizione?
“Per fare dei buyback (i.e.: riacquisto dei propri titoli), aumentare i dividendi e fare degli investimenti che abbiano un ritorno sul capitale investito (i.e. roic) superiore al costo medio del capitale”.
Si tratta di un’iniziativa, quella da lei descritta, che viene dal Tse?
“Sì, ma su richiesta del governo giapponese per spingere le società giapponesi a utilizzare in modo diverso la grande liquidità che hanno a disposizione”.
E qual è la terza ragione per cui ritiene interessante il mercato giapponese?
“Riguarda la struttura delle società, che è cambiata in modo significativo: a fine degli anni ’90 gli stakeholder pesavano per il 60%, mentre oggi gli shareholder costituiscono i 2/3 dell’azionariato. Tra questi si è molto sviluppato l’attivismo, un fenomeno per cui fondi di private equity o soggetti che hanno disponibilità di patrimonio da investire comprano quote di aziende considerate particolarmente sottovalutate, per poter mettere pressione al management affinché efficienti non solo la gestione patrimoniale, ma anche quella operativa”.
L’aumento dell’attivismo è però un fenomeno che si riscontra anche su altri mercati, non trova?
“Sì, ma ciò che è importante in Giappone, e che non si trova altrove, se non in modo marginale, è la presenza di grandi asset che non sono valorizzati dalle stesse aziende che li detengono, troppo concentrate solo sul conto economico”.
Perché gli investitori non mostrano interesse nei confronti del Giappone?
“Il mercato giapponese, va detto, ha offerto performance deludenti nelle fasi di forte rialzo degli indici: quando il trend è orientato alla crescita, privilegiando un approccio growth, viene preferita, per esempio, la tecnologia americana rispetto a quella giapponese. C’è poi un problema di asimmetria informativa e anche di volontà, da parte appunto degli investitori, di analizzare i cambiamenti avvenuti negli utlimi dieci anni che coinvolgono tutte le società e non solo quelle più conosciute”.
Pinuccia Parini
Dopo una lunga carriera in ambito finanziario sul lato, sia del sell side, sia del buy side, sono approdata a Fondi&Sicav

