a cura di Pinuccia Parini
Intervista a Kathy Kriskey, commodity strategist di Invesco
Il mercato dei prodotti energetici sembra piuttosto stabile, nonostante un quadro geopolitico a dir poco difficile. Qual è la vostra view al riguardo?
«Attualmente, il Wti si muove nella fascia alta dei 70 dollari e il Brent in quella bassa degli 80. I corsi hanno mostrato stabilità con qualche pressione al ribasso, dal momento che i mercati stanno prezzando una diminuzione del rischio politico. Se analizziamo ciò che è successo a partire dello scoppio della guerra in Ucraina, bisogna ammettere che il sistema si è riorganizzato in maniera impressionante. Infatti, non un solo barile di petrolio è andato perduto: semplicemente sono state modificate rotte e mercati di sbocco. Detto ciò, riteniamo che, dato un quadro piuttosto tirato a livello di domanda e offerta, i fondamentali suggeriscano come prezzo corretto per il Wti l’area intorno a 85 dollari».
Quale quadro complessivo si sta delineando?
«Il blocco dell’Opec plus è impegnato in una politica di tagli che finora sta rispettando in maniera piuttosto disciplinata. La Russia, infatti, estrae attualmente circa 9,4 milioni di barili giornalieri, ma non è improbabile che possa scendere intorno a 9 milioni, una cifra pari a quanto rilasciato attualmente sul mercato dall’Arabia Saudita. Dall’altra parte, però, non possiamo dimenticare che i quattro maggiori player non Opec, Canada, Guyana, Messico e Usa, sono tutti ai massimi storici del loro output di greggio. In particolare, gli Stati Uniti, con oltre 13 milioni di barili al giorno immessi sul mercato, costituiscono una delle variabili più importanti negli equilibri energetici globali. L’attuale amministrazione è stata di grande aiuto in termini di incentivi all’industria dei combustibili fossili americana, nonostante la reputazione di essere più focalizzata sulle rinnovabili. Attualmente gli Usa sono un esportatore netto di energia».
Come si sta evolvendo la domanda?
«Vi sono segnali positivi: ad esempio, la Cina sta gradualmente tornando alla normalità. Inoltre, entro fine anno la Fed dovrebbe cominciare a tagliare i tassi di interesse. Probabilmente si muoverà con grande cautela con un abbassamento di 25 punti base intorno a Natale, per poi proseguire con un paio di tagli nel 2025. Pensiamo che Powell offrirà questo regalo ai mercati, anche se l’inflazione rimanesse al di sopra del 2%, ma comunque a livelli moderati: per esempio intorno al 3%. Ciò che le autorità monetarie stanno facendo è gestire nella maniera migliore possibile le aspettative, ricordando agli investitori l’importanza della disciplina nel controllo dei prezzi, perché l’economia è ancora forte e diverse spinte sul costo della vita appaiono alquanto sticky. Storicamente, però, un’economia in moderato rallentamento (ciò che comunemente viene chiamato soft landing) e accompagnata da un calo del costo del denaro è di aiuto ai prezzi del petrolio».
Passando invece ai metalli industriali, che quest’anno stanno andando molto bene, quale quadro si presenta agli investitori?
«Tipicamente, questo gruppo di risorse è fortemente ciclico, tanto che hanno sofferto parecchio quando si temeva che il pianeta fosse avviato a una fase di recessione. Da allora, la ripresa è stata forte, soprattutto per quanto riguarda il rame, che è anche la nostra scelta preferita fra i non ferrosi. Quest’ultimo, infatti, in precedenza sembrava soprattutto un’ottima maniera di puntare sullo sviluppo delle auto elettriche, poiché gli Ev richiedono un uso di questo metallo quattro volte superiore a un tradizionale veicolo a combustione. Le incertezze e le tensioni che circondano però l’intero settore hanno lasciato il campo a un altro grande tema di sviluppo: quello dei data centre per l’intelligenza artificiale. Questi ultimi necessitano di moltissimo rame e rappresentano un driver di lungo periodo molto importante».
Ritiene che il forte bull market di questi mesi abbia in qualche maniera compromesso le prospettive per il futuro?
«Sicuramente non ci aspettavamo un boom così rapido, ma riteniamo che vi sia un ciclo di lungo periodo che favorisce diverse materie prime, tra le quali, appunto, il rame. Anche in questo caso, peraltro, l’avvio e il dispiego di un ciclo di ribasso dei tassi di interesse nell’ambito del soft landing rappresenta un elemento molto positivo. Sul lato dell’offerta, inoltre, è difficile che il 2025 porti un significativo aumento per via dei limiti strutturali e delle lentezze burocratiche che accompagnano lo sviluppo di nuove miniere. Un paradigma favorevole, seppure in maniera meno intensa, lo ritroviamo anche in altri mercati quali lo stagno e lo zinco. Fondamentali meno positivi, invece, si hanno nel nickel a causa della forte produzione indonesiana, che può essere utilizzata dall’industria cinese degli Ev, nonostante non presenti caratteristiche high grade».
Che cosa potrebbe influire negativamente sul complesso delle commodity?
«Se politiche monetarie meno restrittive entro fine anno non dovessero materializzarsi, molto probabilmente andremmo incontro a una fase di cali e di volatilità. Pertanto, il pericolo maggiore è uno shock geopolitico che potrebbe causare una fase di stagflazione, nei confronti della quale le banche centrali avrebbero ben pochi strumenti a disposizione. Ribadisco, però, che finora, nonostante le complicazioni, le rotte e le infrastrutture di trasporto hanno funzionato bene. Il rilascio da parte dell’amministrazione Biden di un milione di barili al giorno dalla riserva strategica e il cap di 60 dollari imposto sul greggio russo sono stati entrambi misure intelligenti per calmierare la situazione. Gli investitori, tuttavia, farebbero male a considerare sorpassati i pericoli di un deterioramento del quadro complessivo, specialmente quando è in gioco l’orgoglio di diverse nazioni. Basti pensare a quanto è successo di recente fra Israele e Iran, scontro che per fortuna ha avuto un costo molto limitato in termini di vite umane».
Infine, quali sono le motivazioni che stanno spingendo così al rialzo i corsi dell’oro? Siete ottimisti sul futuro del metallo prezioso per eccellenza?
«Certamente la ragione principale dell’imponente rialzo degli ultimi mesi è da ricercare negli acquisti delle banche centrali di diverse nazioni emergenti, Cina in primis. Il loro obiettivo è diversificare le proprie riserve al di fuori del dollaro e coprire i rischi derivanti dall’incerta situazione geopolitica. Si tratta di una tendenza destinata a durare sul lungo periodo e che fornisce un supporto a un livello progressivamente più elevato alle quotazioni di questa risorsa; pertanto, la nostra view è sicuramente positiva. In passato, infatti, osservavamo un incremento degli acquisti da parte delle autorità monetarie del mondo emergente quando l’oro calava nella fascia fra 1.700 e 1.900 dollari l’oncia. Adesso, invece, vi sono chiari segnali del fatto che lo stesso fenomeno avviene già nell’area fra 2.000 e 2.100. È interessante notare che quest’ultimo bull market, fino a poco tempo fa, non ha visto un’attiva partecipazione da parte degli investitori retail. Questi ultimi, man mano che le quotazioni crescevano, sono rimasti venditori netti di Etp auriferi».
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Pinuccia Parini
Dopo una lunga carriera in ambito finanziario sul lato, sia del sell side, sia del buy side, sono approdata a Fondi&Sicav

