Questa domenica, gli elettori tedeschi torneranno alle urne in seguito alla caduta del governo Scholz. L’analisi di Matteo Ramenghi, chief investment officer di UBS WM in Italia

La debolezza economica è una delle ragioni principali che hanno portato a queste elezioni: la formazione della legge di bilancio si è rivelata tortuosa e ha amplificato le divergenze interne alla maggioranza. L’economia tedesca è stata infatti la grande delusione sin dalla pandemia: il prodotto interno lordo (PIL) tedesco è sui livelli di fine 2019, mentre da allora quello italiano è cresciuto del 6% e quello francese del 4%.

L’economia tedesca si è contratta negli ultimi due anni e le prospettive non sono promettenti. Sicuramente la forte dipendenza dal gas russo è stata un freno dall’inizio della guerra in Ucraina; inoltre, la debolezza delle esportazioni verso la Cina ha sottratto fatturato all’industria. Ma, soprattutto, l’economia si è dimostrata più sensibile di altre all’aumento dei tassi d’interesse. Questo può sembrare sorprendente per un Paese con un debito pubblico molto contenuto, ma vale la pena ricordare che la Germania ha beneficiato appieno dei tassi d’interesse bassi, e in alcuni periodi addirittura negativi, seguiti alla crisi del debito sovrano della Grecia. Costi di finanziamento inferiori rispetto ad altre grandi economie come Italia o Spagna hanno creato un vantaggio competitivo e sostenuto gli investimenti in conto capitale, il settore immobiliare e l’industria pesante.

Il rovescio della medaglia è che quando i tassi d’interesse sono aumentati, l’impatto si è rivelato più severo. Sulla carta, il governo tedesco ha ampio spazio per implementare politiche fiscali espansive senza innervosire i mercati finanziari. Questa capacità fiscale potrebbe essere utilizzata per ridurre l’elevato carico fiscale, ridurre i prezzi dell’energia o migliorare le infrastrutture. Tuttavia, l’impiego di maggiori risorse richiederebbe una riforma del freno al debito contenuto nella costituzione, che limita il deficit del governo centrale a solo lo 0,35% strutturale del PIL.

La questione della spesa per la difesa illustra bene come la mancanza di riforma sul tetto al deficit renderebbe, a sua volta, difficile un rilancio. La Germania soddisfa appena l’obiettivo della NATO di destinare il 2% del PIL alla spesa per la difesa. Tuttavia, una quota di questa spesa, per quasi l’1% del PIL, non è finanziata attraverso il bilancio regolare, bensì tramite un fondo sancito istituito a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina che sarà esaurito entro la fine del 2027. Se la Germania vorrà mantenere lo stesso livello di spesa per la difesa negli anni futuri, o addirittura aumentarlo al 3% o più, dovrà istituire un nuovo fondo, oppure allentare il freno al debito o, infine, ridurre altri capitoli di spesa. Le prime due opzioni richiedono il supporto di due terzi dei voti nel Bundestag, poiché modificano la costituzione. Pertanto, se ci fosse una minoranza di blocco contro tali emendamenti, dopo le elezioni la Germania dovrebbe addirittura affrontare una stretta fiscale piuttosto che un allentamento.

Le elezioni sono quindi molto importanti; una questione cruciale è il numero di partiti che entreranno al Bundestag, il parlamento federale . Secondo il sistema elettorale, un partito deve ottenere almeno il 5% dei voti per essere rappresentato nel Bundestag e attualmente tre partiti sono intorno alla soglia. Se, per ipotesi, nessuno di questi tre partiti entrasse nel Bundestag, ci sarebbero solo quattro partiti in parlamento, con i tre blocchi centristi (CDU di centrodestra, SPD di centrosinistra, Verdi) a dominare la distribuzione dei seggi. Una grande coalizione di partiti centristi sarebbe probabilmente un esito più favorevole per le prospettive economiche, poiché lascerebbe ampio spazio per ridimensionare il freno a deficit e debito, che limita il deficit strutturale allo 0,35% del PIL, e incrementare il fondo speciale per la difesa. Si tratta di due misure importanti che si pensa siano invise al partito di destra Alternativa per la Germania (AfD). Questo scenario potrebbe, ad esempio, portare ad alcuni tagli fiscali con la creazione di un «fondo Germania» da 100 miliardi di euro, che era stato promesso dall’SPD per stimolare gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche.

Al contrario, una scena politica più frammentata renderebbe più difficile una riforma del freno all’indebitamento, infatti ci sembra che nessuno di questi partiti sostenga in modo affidabile una tale proposta. Anche un’estensione del fondo speciale per la difesa potrebbe essere a rischio. Inoltre, un’alta frammentazione potrebbe costringere alla creazione di una coalizione molto ampia a tre partiti (Unione-SPD-FDP), che potrebbe rendere difficile attuare le riforme date le priorità disparate, potenzialmente dando origine a dispute sulla redistribuzione delle risorse esistenti. Tuttavia, questo scenario richiederebbe che tutti i partiti alla soglia performino bene rispetto ai sondaggi attuali.

Tra questi due estremi c’è tutta una serie di altri scenari e il margine di errore dei sondaggi resta comunque elevato. Nel complesso, lo scenario più probabile è quindi una coalizione tra l’Unione e l’SPD con l’attesissima riforma del freno al debito. A mio avviso, domenica notte si capirà se ci sarà una minoranza di blocco, con il rischio di una reazione negativa delle borse. D’altra parte, in caso di un esito più favorevole, in linea alle nostre attese, ci vorrà tempo, perché serviranno settimane per le negoziazioni di coalizione. Le ricadute di una politica fiscale più espansiva in Germania sarebbero positive anche per l’Italia e la zona euro in generale, visto il peso dell’economia tedesca sul volume di scambi commerciali. Tuttavia, non abbiamo grandi aspettative riguardo a potenziali passi avanti nell’integrazione europea, perché questo tema non sembra essere al centro dei manifesti delle principali forze politiche. Anche se la fine della guerra in Ucraina potrebbe dare un contributo di qualche decimale al PIL della zona euro nel corso di quest’anno, l’economia europea procede a passo incerto. In questo complesso scenario, la Banca centrale europea (BCE) continuerà a tagliare i tassi d’interesse e nelle nostre stime porterà il tasso sui depositi al 2%. Ma non è chiaro se si fermerà lì. Con una crescita economica vacillante, la BCE potrebbe dover fare di più, anche in considerazione del protezionismo americano. Questa fase dovrebbe quindi essere favorevole per le obbligazioni in euro.


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