Gli ultimi 10 anni hanno visto una continua crescita delle quotazioni dell’oro.

La corsa del metallo prezioso è avvenuta all’interno di scenari macro caratterizzati da elementi contraddittori che, in quanto tali, hanno probabilmente sostenuto il corso della materia prima. Nel decennio, infatti, i tassi di interesse sono stati particolarmente bassi o negativi, la crescita è stata moderata e c’è stato un aumento del rischio politico.

A tutto ciò si è aggiunto, agli inizi degli anni ’20, il ritorno dell’inflazione, con l’acuirsi delle frizioni geopolitiche. L’apprezzamento dell’oro, però, è continuato anche nel 2024, quando sono diventati più tangibili le dinamiche disinflazionistiche e l’allentamento delle politiche monetarie. Insomma, si sono avvicendati diversi elementi, in alcuni casi contraddittori, che sono diventati un vento favorevole per la materia prima. Scoprire che cosa sta alla base di questo consenso non è certo immediato, ma possono essere fatte due ipotesi: la finanziarizzazione dell’oro e la de-dollarizzazione di alcune banche centrali, Cina in primis

Gli ultimi anni hanno visto l’ascesa di diversi titoli e asset class, i cui rendimenti spettacolari hanno catturato l’attenzione di investitori e mass-media. Fiumi di parole sono stati spesi per i “magnifici sette”, per l’equity giapponese e per il bitcoin. In realtà, il fenomeno forse più impressionante di questo decennio è la continua crescita del corso dell’oro, che è stato capace, solo in questo 2024, di mettere a segno un record storico dopo l’altro. 

Gli ultimi trionfali mesi, culminati con l’avere sfiorato quota 2.700 dollari per oncia a fine settembre, sono peraltro il risultato di un trend generale di ripresa che perdura ormai da nove anni. Proprio nelle ultime settimane del 2015, al culmine del contro-shock dei prezzi delle materie prime cominciato quattro anni prima, le quotazioni del prezioso per eccellenza facevano fatica a tenersi al di sopra di quota 1.000.

Da lì in poi è cominciata una lenta risalita che ha acquistato vigore nei mesi della pandemia nel 2020. Nel luglio di quell’anno, infatti, fu superata per la prima volta la soglia di 2.000. Dopo una fase di correzione che si è protratta fino alla seconda metà del 2022, è iniziata l’attuale cavalcata che ormai sta facendo intravedere e prevedere a diversi analisti il traguardo di 3.000. 

Questa carrellata storica serve a inquadrare la caratteristica più straordinaria del bull market di questa risorsa, ossia di essere avvenuto in una pletora di scenari macro completamente contraddittori fra loro. La seconda parte degli anni ’10, infatti, è stata segnata da un andamento del Pil nominale globale alquanto tenue: un paradigma di imminente giapponesizzazione planetaria o di stabile moderazione (spesso definita di “Goldilocks”) a seconda che si sia inclini a vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno.

È stata un’epoca che ha fornito due importanti pilastri all’oro: tassi reali bassissimi e un crescente rischio politico.

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Boris Secciani

Nato a Bologna nel 1974, a Milano ho completato gli studi in economia politica, con una specializzazione in metodi quantitativi. Ho cominciato la mia carriera come broker di materie prime negli Usa, per poi proseguire come trader sul forex. Tornato in Italia ho partecipato come analista e giornalista a diversi progetti. Sono in FONDI&SICAV dalla sua fondazione, dove opero come Responsabile dell'Ufficio Studi. I miei interessi si incentrano soprattutto sul mondo dei tassi di interesse e del reddito fisso, sulla gestione del rischio di portafoglio e sull'asset allocation.