Gli indicatori di fiducia e il rallentamento dell’inflazione tra i fattori a favore dello scenario. A colloquio con Annalisa Piazza, fixed income research analyst di MFS Investment Management
Quale è il vostro scenario centrale in queste prime fasi del 2024?
«Rimaniamo dell’idea che il soft landing continui a essere l’opzione più probabile. L’Europa è molto vicina alla recessione a causa di un manifatturiero che da diverso tempo soffre di difficoltà serie. La contrazione industriale del Vecchio continente, però, è già stata prezzata dagli investitori, mentre in tale ambito gli indicatori di fiducia stanno cominciando a stabilizzarsi.
Dall’altra parte, i servizi hanno continuato a mostrare un andamento piuttosto robusto, impedendo il verificarsi di contrazioni più pesanti nell’andamento del Pil dell’Eurozona. Il processo di rientro dell’inflazione verso il proprio trend di lungo periodo sta proseguendo: di conseguenza le famiglie stanno godendo di un significativo miglioramento del reddito disponibile. Si tratta di un ulteriore fattore a sostegno dell’ipotesi del soft landing».
Quali sono i rischi principali che potrebbero rendere più accidentato questo sentiero?
«Sicuramente vi sono molte incognite a livello geopolitico: ad esempio, la crisi che si è sviluppata intorno al canale di Suez potrebbe portare a diffusi timori di una nuova fiammata inflattiva. A sua volta, ciò peserebbe negativamente sul grado di fiducia delle famiglie europee. Inoltre, quest’anno vi sono le elezioni presidenziali negli Usa, che per di più si terranno verso la fine del 2024. Se la vittoria di Trump diventasse nel corso dei mesi più probabile, si assisterebbe a un aumento di volatilità e di incertezza, per quanto riguarda l’economia statunitense, in una direzione e nell’altra».
Che cosa vi aspettate da banche centrali che, per il momento, hanno deluso le aspettative più ottimistiche di taglio dei tassi?
«Le autorità monetarie nel corso dell’anno probabilmente abbasseranno il costo del denaro per accompagnare il soft landing di cui abbiamo parlato in precedenza. È vero che di recente, in alcuni casi, i dati sull’inflazione sono stati deludenti e hanno mostrato una ripresa, ma va considerato che un processo di mean-reversion da un livello così elevato è destinato a mostrare un non indifferente grado di volatilità. Pertanto, è probabile che, sia la Bce, sia la Fed non annunceranno in anticipo l’inizio della nuova fase di politica monetaria, per non spingere al rialzo le aspettative di inflazione di lungo periodo».
Qual è la vostra view in questo ambito?
«Riteniamo che già nella seconda metà del 2024 il rialzo dei prezzi in Europa si avvicinerà all’obiettivo del 2% indicato dalla Bce. Non vedo, infatti, uno scenario radicalmente diverso rispetto agli ultimi 15 anni, nei quali le spinte inflative sono state tenui. Anche le rivendicazioni salariali, che si sono viste di recente in economie come quella tedesca, sembrano più una reazione momentanea allo shock esogeno provocato dall’aumento dei corsi delle materie prime in seguito ai lockdown e alla guerra. Inoltre, in alcuni comparti (basti pensare, ad esempio, all’edilizia tedesca), si veniva da oltre due decenni di paghe stagnanti. L’andamento della produttività nell’Eurozona è decisamente debole, a differenza che in America, con un unit labour cost che non accenna a diminuire. Pertanto, non vi sono in Europa i margini per un processo sostenuto e continuato di rialzo del costo del lavoro».
Come ci si può muovere sui governativi europei, dato il paradigma in cui ci troviamo in Europa?
Visto l’atteggiamento prudenziale e data-dependent delle banche centrali, ci aspettiamo volatilità sul Bund. Quest’ultimo però presenta tuttora rendimenti interessanti, dal momento che la Bce dovrà comunque dare iI via a una politica monetaria più espansiva per sostenere il soft landing. Nonostante l’instabilità di breve, non prevediamo un significativo aumento degli spread per le emissioni dei paesi periferici. Al contrario, uno strumento come il Btp consente oggi di ottenere un buon Ytm, con un significativo carry interest a fronte di rischi geopolitici decisamente contenuti. Un fattore che al giorno d’oggi è di primaria importanza».
Qual è il vostro approccio nel credito?
«I corporate europei in generale presentano maggiori opportunità rispetto alle loro controparti statunitensi, grazie a differenziali di rendimento relativamente più elevati. Ciò è vero anche rispetto alla loro media storica. Per quanto riguarda il segmento investment grade, ci piacciono soprattutto emissioni di buona qualità, che consentono di puntare su una maggiore duration. All’interno dell’high yield, al contrario, preferiamo limitare quest’ultima, puntando su un restringimento degli spread che in alcuni casi sono tuttora non giustificati dai fondamentali delle aziende emittenti».
Boris Secciani
Nato a Bologna nel 1974, a Milano ho completato gli studi in economia politica, con una specializzazione in metodi quantitativi. Ho cominciato la mia carriera come broker di materie prime negli Usa, per poi proseguire come trader sul forex. Tornato in Italia ho partecipato come analista e giornalista a diversi progetti. Sono in FONDI&SICAV dalla sua fondazione, dove opero come Responsabile dell'Ufficio Studi. I miei interessi si incentrano soprattutto sul mondo dei tassi di interesse e del reddito fisso, sulla gestione del rischio di portafoglio e sull'asset allocation.

