L’esposizione resta neutrale sulla Germania e lunga sull’Italia. Le scadenze medio-brevi sono sovrappesate. Mauro Valle, head of fixed income, di Generali Asset Management

Nell’ultima settimana i tassi del Tesoro sono passati dal 4,3% al 4,6%, dopo dati sull’IPC (Indice dei prezzi annuali) più forti del previsto. I tassi reali sono aumentati di circa 20 punti base, arrivando al 2,20%, mentre i tassi BE (break even, il valore al quale i risultati di due attività finanziarie si equivalgono) hanno superato il livello del 2,40%. Da notare anche il movimento al rialzo dei tassi BE (Break Even) a 2 anni che stanno raggiungendo un picco del 2,94%, quando all’inizio dell’anno erano al 2,0%.

Sia l’inflazione headline (complessiva) che quella core (che esclude le componenti più volatili generi alimentari ed energia) sono risultate superiori alle aspettative dello 0,1%, confermando che la tendenza al calo dell’inflazione si sta arrestando.  Anche le vendite al dettaglio di marzo sono state nettamente positive (gruppo di controllo +1,1% rispetto alle previsioni dello 0,4%). Questi dati positivi fanno seguito al precedente forte indice ISM (Indice Manifatturiero USA) che è salito al 50,3 e al rapporto sul mercato del lavoro (NFP +303) (Non Farm Pay Roll, indice dei posti di lavoro agricoli creati in America che segnala 303 mila posti di lavoro creati).

In questo scenario il mercato sta riprezzando il ciclo di tagli della FED: probabilità molto basse di vedere un taglio a giugno e solo 2 tagli previsti entro gennaio. La probabilità che Powell ritardi i tagli è concreta a questo punto, e potrebbe pensare di aspettare la pausa estiva per valutare la situazione: per vedere se due tagli (settembre e dicembre diventeranno lo scenario centrale della FED nella prossima riunione).

Non è facile al momento individuare un nuovo livello equo per i tassi statunitensi a 10 anni, ma ipotizziamo che nel breve termine i tassi USA possano consolidarsi sopra il 4,5%. Per quanto riguarda la curva dei rendimenti, essa è sempre invertita di -30 punti base, e le aspettative sono sempre state per un irripidimento rialzista: se lo scenario economico continuerà ad essere così positivo, la curva invertita avrà poco senso e non possiamo escludere una tendenza di irripidimento ribassista.

I tassi dei Bund si muovono sempre nell’intervallo intorno al 2,4%, sostenuti dall’aumento dei tassi USA, nonostante una BCE dovish e un’inflazione in calo. I tassi BE (Break Even) tedeschi sono saliti di 10 punti base in aprile, ora al 2,16%, ma le aspettative di inflazione a 5 anni sono abbastanza stabili al 2,35%. L’inflazione in euro è scesa più del previsto al 2,4% (core 2,9%) a febbraio, il PMI (Purchasing Managers Index) è stato rivisto al rialzo, le vendite al dettaglio sono state scarse: i dati economici dell’Eurozona sono deboli e la Lagarde ha confermato uno scenario sufficientemente disinflazionistico (la crescita dei salari si è “gradualmente moderata”) per tagliare i tassi a giugno. Ha sottolineato che la BCE dipende dai dati e non dalla FED.

Ci aspettiamo un primo taglio a giugno (il mercato valuta una probabilità del 90%), ma una diversa posizione della FED non sarà indifferente per loro e potrebbe rallentare il ciclo di tagli. La view rimane positiva per i tassi dei bund vicino al livello del 2,5%. Un livello più neutrale potrebbe essere l’area 2,0%-2,2%. La curva dei rendimenti (10-2 anni) è sempre invertita intorno a -45 punti base e ci si aspetta che si restringa.

La nostra view: obbligazioni tedesche con un’esposizione neutrale; i BTP italiani sovrappesati, insieme a Spagna e Grecia. L’esposizione sulla curva dei rendimenti è sempre lunga fino alla scadenza dei 10 anni e sottoesposta alla parte lunga. I portafogli continueranno ad attuare una strategia di duration relativa lunga, in attesa di un ritracciamento dei tassi core intorno/sotto l’area del 2,2%. L’esposizione ai BTP continuerà a essere sovrappesata.


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