Le pressioni sui tassi a lungo termine negli Usa potrebbero mettere in discussione la resilienza degli utili. Timothy F. Creedon, CFA, director of global equity research di Neuberger Berman

La cosidetta “stagione degli utili” del secondo trimestre di quest’anno si è quasi conclusa e la scorsa settimana i dati di alcune società di vendita al dettaglio hanno dimostrato ancora una volta la resilienza dei consumatori statunitensi. “Resilienza” è divenuta ormai la parola d’ordine per l’indice azionario S&P 500, con quasi l’80% delle sue società che hanno superato le stime trimestrali, con risultati superiori di un paio di punti percentuali rispetto alle attese di inizio periodo. Nel trimestre in esame, gli utili registreranno probabilmente un calo medio di circa il 5%, ma questo dato potrebbe rappresentare un minimo da cui ripartire, considerato che gli analisti prevedono una crescita invariata degli utili nel terzo trimestre, una crescita tra il 7 e il 9% nel quarto trimestre ed un ottimistico ritorno ad una crescita a doppia cifra il prossimo anno. L’inattesa resilienza è uno dei principali motivi per cui quest’estate il nostro Asset Allocation Committee ha rivisto la propria view adottando un approccio cauto e neutrale all’azionario, ribilanciando le probabilità che la Federal Reserve (Fed) ci accompagni verso un atterraggio morbido con il rischio di eventuali maggiori turbolenze in futuro. Lo scenario di un atterraggio morbido è ora più probabile e di conseguenza viene mano a mano “prezzato” nelle valutazioni di mercato: si pensa infatti che l’inflazione potrebbe rallentare ed il mercato del lavoro indebolirsi a tal punto da attenuare l’inflazione salariale (con una progressiva adozione dell’intelligenza artificiale che potrebbe in parte compensare il gap di produttività), inducendo potenziali tagli dei tassi d’interesse il prossimo anno ed il prosieguo di un contesto di maggiore propensione al rischio. Questo scenario di atterraggio morbido è ancora possibile, ma molti tasselli dovrebbero andare al loro posto. Intravediamo ancora alcuni ostacoli da superare — e questioni da discutere — nel rivalutare le nostre prospettive, il che rafforza l’attuale view cauta e neutrale sull’azionario.

Contrazione del mercato del lavoro e potenziali pressioni sui margini

La disinflazione ha iniziato a concretizzarsi nei dati economici, ma riteniamo che questo rallentamento dell’inflazione costituirà probabilmente un freno per la crescita dei ricavi ed un potenziale rischio per la leva operativa delle società, poiché i salari reali stanno ancora aumentando nonostante un mercato del lavoro in contrazione. Basti pensare alle recenti contrattazioni salariali delle compagnie aeree e di UPS ed allo sciopero, potenzialmente significativo, del sindacato United Auto Workers previsto per settembre, per capire che i lavoratori stanno cercando di riconquistare il loro ruolo all’interno del sistema economico. Se la contrazione del mercato del lavoro persisterà e la crescita dei salari non rallenterà, è probabile che le società saranno costrette a trasferire questi maggiori costi nei prezzi di beni e servizi. Ciò manterrebbe l’inflazione elevata e spingerebbe (probabilmente) la Fed ad adottare una politica più restrittiva in termini di crescita. In alternativa, le società potrebbero scegliere di non aumentare i prezzi, ma questo porterebbe ad una pressione sui margini e quindi ad una conseguente contrazione degli utili aziendali. Se invece la disoccupazione dovesse iniziare a diminuire, la pressione e la ricerca di maggiori salari ad attenuarsi, l’attenzione si potrebbe spostare rapidamente sul rischio di una contrazione della crescita economica, dato che si teme che la recessione sia stata, per il momento, rimandata ma non del tutto scongiurata.

Aumento in controtendenza dei tassi di interesse a lungo termine

Molti addetti ai lavori sono stati sorpresi dalla resilienza mostrata da imprese e famiglie di fronte all’attuale ciclo di inasprimento della Fed. Se da un lato si può sostenere che molti di loro abbiano estinto il proprio debito, contribuendo a mitigare l’impatto dell’aumento dei tassi a breve, dall’altro c’è il rischio che il governo statunitense sia rimasto con il cerino in mano, considerato il suo livello di indebitamento piuttosto elevato ed il potenziale rischio di rifinanziamento riconducibile alla massiccia spesa pubblica sostenuta durante la crisi pandemica. Questo rischio sta infatti iniziando a manifestarsi nel mercato dei Treasury con una pressione sui tassi a lungo termine, mentre recentemente il rendimento dei titoli di Stato decennali ha raggiunto il proprio massimo degli ultimi 15 anni. Con l’aumento dei rendimenti a lungo termine, questo movimento della curva dei titoli governativi potrebbe mettere ulteriormente alla prova la sorprendente resilienza del settore privato all’aumento dei tassi.

Prospettive per la Cina

Analizzando con attenzione le prospettive per la Cina, la cui ripresa economica rimane debole e le cui stime di crescita sono state in gran parte riviste al ribasso, sembra lecito chiedersi se il governo perseguirà misure di stimolo più aggressive (cosa che finora si è dimostrato riluttante a fare). Le preoccupazioni per l’aumento del debito e dei default, la mancanza di fiducia dei consumatori e delle imprese e l’escalation delle tensioni nei rapporti tra Stati Uniti e Cina sono numerose. I leader cinesi stanno discutendo sul da farsi e sarà importante capire se verranno introdotti stimoli o cambiamenti significativi sul fronte della politica monetaria per allontanare i timori sulla crescita del Paese. Se da un lato un’azione più decisa potrebbe contribuire ad attenuare tali preoccupazioni, dall’altro lato potrebbe anche comportare effetti collaterali potenzialmente significativi sull’inflazione a livello globale, nonché sui mercati dei cambi e delle materie prime.


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Redazione

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