Con l’inflazione giapponese stabilizzata e i tassi della Bank of Japan (BoJ) fermi allo 0,5%, i rendimenti globali restano su livelli tali da lasciare margini per ritorni totali ancora positivi. Chris Iggo, Chief Investment Officer di AXA IM Core

Il disagio è globale

Gli investitori obbligazionari temono tre cose: una riprezzatura dei titoli dovuta a cambi inattesi dei tassi da parte delle Banche Centrali; l’erosione del valore reale dei rendimenti per effetto dell’inflazione; e un aumento dell’offerta di debito pubblico – causato da deficit di bilancio crescenti – che spinga i rendimenti tanto in alto da attrarre domanda. Attualmente, almeno due di questi tre elementi sono presenti nei mercati, soprattutto in Giappone e nel Regno Unito.
O almeno, così dice la narrazione prevalente. In Giappone, la preoccupazione riguarda l’inflazione (finalmente in aumento), la riduzione del bilancio della BoJ e i cambiamenti nella domanda strutturale di titoli governativi a lungo termine, che starebbero spingendo i rendimenti al rialzo.
Questo potrebbe alterare i flussi di capitale globali: gli investitori giapponesi avrebbero maggiori incentivi a restare sul mercato domestico, mentre altri investitori dovrebbero chiudere le operazioni di carry trade sullo yen. In sintesi, l’aumento dei rendimenti giapponesi è visto come possibile causa dell’aumento dei rendimenti globali. Il Regno Unito presenta preoccupazioni simili: l’inflazione è ostinatamente elevata, rendendo difficile tagliare i tassi, e l’outlook fiscale è cupo.
I bond sono bond
Considerata la liquidità dei mercati e il ruolo dei titoli di Stato come asset privi di rischio, è naturale che i rendimenti siano fortemente correlati. Storicamente, i JGB hanno offerto i rendimenti più bassi, riflettendo un lungo periodo disinflazionistico post-bolla anni ’80, con bassa volatilità.
Ma dalla fine del 2023, i rendimenti giapponesi sono saliti più degli altri, in concomitanza con il primo rialzo dei tassi da parte della BoJ. L’inflazione in crescita, il ridimensionamento del bilancio della banca centrale, e una minore domanda di titoli a lungo termine da parte di assicurazioni e fondi pensione stanno generando un premio di rischio idiosincratico. Non c’è una crisi all’orizzonte, ma con un debito pubblico tra i più alti del G7 (216% del PIL), i fattori interni contano sempre di più. Monitorare il contesto macro giapponese è essenziale, anche per i flussi globali: gli investitori giapponesi sono grandi creditori di USA ed Europa.
Il caso dei Gilt
I Gilt britannici mostrano una volatilità superiore rispetto ad altri titoli governativi a causa di fattori idiosincratici e di un outlook fiscale preoccupante: il governo fatica a controllare la spesa pubblica, rischia di violare le regole fiscali e affronta un’inflazione persistente, salita al 3,6% a giugno.
Senza un piano credibile per la crescita e i conti pubblici, le aspettative inflazionistiche potrebbero restare elevate, richiedendo forse un forte rallentamento economico per essere contenute. Tuttavia, proprio per questi livelli di rendimento e volatilità, i Gilt potrebbero offrire interessanti opportunità per posizioni rialziste sulla duration, come dimostra la sovraperformance del segmento a 7-10 anni rispetto ai titoli europei.
L’imprevedibilità statunitense
Poi ci sono i timori sui Treasury USA. Ci sono sempre più spesso voci secondo le quali il Presidente Trump sia impaziente di licenziare Jerome Powell. È risaputo che Trump vuole tassi più bassi. Lo scenario più allarmante è che Powell venga sostituito con una figura più accomodante nei confronti di Trump. E che il processo di definizione dei tassi venga stravolto, aggirando l’analisi e il voto del FOMC.
Uno scenario del genere comporterebbe un aumento dei rendimenti obbligazionari attraverso una curva più ripida e un dollaro più debole. Anche i tassi di inflazione di break-even aumenterebbero ulteriormente, poiché si tratterebbe di una situazione potenzialmente inflazionistica. Sarebbe necessario un premio di rischio più elevato sui tassi statunitensi, data l’incertezza che circonda la politica monetaria, con implicazioni per i rendimenti altrove e per i tassi di cambio.
Anche se dubito che Trump intraprenderebbe questa strada, se ciò dovesse accadere, l’impatto sugli asset di rischio sarebbe negativo. Immaginate un aumento dell’inflazione dovuto ai dazi e tassi overnight azzerati o negativi in termini reali. Oggi più che mai è necessaria una protezione dall’inflazione. I tassi di inflazione di pareggio continuano a salire nei mercati statunitensi.
Rischi e opportunità
Le preoccupazioni sull’inflazione – specie in USA e UK – sono fondate. I timori per l’outlook fiscale sono diffusi, ovunque. Tuttavia, in Europa l’inflazione è tornata al target e l’euro, ora molto forte, contribuisce a mantenerla sotto controllo. In Cina non c’è inflazione: il paese sta tornando a esportare deflazione verso Asia ed Europa per compensare la perdita di quote nel mercato USA protetto dai dazi.
Le divergenze nei trend inflazionistici genereranno opportunità differenziate nel reddito fisso globale. Ci sono preoccupazioni concrete riguardo ai cambiamenti strutturali nella domanda di obbligazioni. In particolare per quelle a più lunga scadenza. Tuttavia, i governi stanno rispondendo emettendo un numero inferiore di titoli a lunga durata, il che potrebbe implicare che, a un certo punto, la parte lunga della curva inizi a offrire valore relativo (per scarsità).
La domanda di strumenti a reddito fisso è enorme, grazie alle opportunità di rendimento oggi disponibili, con rendimenti su livelli interessanti. Acquistare duration nei momenti in cui i rendimenti registrano impennate rimane un’opzione interessante per gli investitori di lungo periodo, a condizione che Trump eviti di destabilizzare l’ordine monetario globale, violando l’indipendenza della Fed e subordinando il sistema monetario fiat alle criptovalute.
Redazione
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