A colloquio con Katrina Uzun, Institutional Portfolio Manager of Emerging Markets Debt e Neeraj Arora, Emerging Markets Debt Fixed Income Portfolio Manager di MFS Investment Management
Qual è il vostro approccio all’investimento in un’asset class variegata come quella dei bond emergenti?

«Riteniamo che rendimenti corretti per il rischio stabilmente positivi si ottengano sfruttando al meglio le inefficienze del mercato attraverso un’analisi fondamentale di qualità superiore, una ricerca su scala globale del valore e un’attenzione particolare alla gestione del rischio di ribasso.
Siamo consapevoli che l’asset class EM è altamente volatile; non vogliamo avere un’elevata esposizione al beta, inseguendo trend di breve termine.
Il nostro scopo è sovraperformare attraverso l’alfa e non il beta come elemento chiave dei rendimenti di lungo periodo del nostro portafoglio. Per raggiungere questo obiettivo, è cruciale potersi concentrare sui fondamentali dei paesi sovrani.
Riteniamo che la capacità di ottenere rendimenti relativamente elevati corretti per il rischio nei mercati emergenti dipenda essenzialmente da un’analisi eccellente del paese, in particolare dalla capacità di individuare le divergenze tra i fondamentali e le valutazioni, per poi riflettere tempestivamente tali considerazioni in un portafoglio.
Siamo gestori dalle caratteristiche un po’ più difensive rispetto ad altri competitor. Siamo orientati al value ed evitiamo posizioni eccessivamente concentrate che possono lasciare un portafoglio imprudentemente esposto al rischio idiosincratico e di mercato.
Puntiamo invece a costruire un portafoglio diversificato per aree geografiche e settori. Inoltre, miriamo a diversificare i nostri investimenti all’interno dei vari segmenti delle obbligazioni EM, dai governativi in valuta forte a quelli in divise locali, per arrivare alle obbligazioni corporate in valuta forte.
Infine, manteniamo un profilo di elevata liquidità nelle nostre strategie. Il nostro obiettivo generale è quello di ottenere solidi rendimenti limitando al contempo il rischio di ribasso».
Potrebbe fare un esempio pratico del vostro processo di selezione nell’ambito delle emissioni sovrane?
«Per quanto riguarda questo comparto, ci orientiamo su paesi dai fondamentali in miglioramento, tipicamente nella fascia alta dell’high yield (in genere, con rating intorno a BB) e con elevate possibilità di entrare nell’investment grade in tempi ragionevoli. Inoltre, incorporiamo diversi criteri Esg nel nostro processo di investimento. Ad esempio, troviamo attraente il debito di economie dell’America Latina come il Costa Rica, la Repubblica Dominicana e il Paraguay.
In Europa, la Serbia mostra un profilo di solidità nella bilancia dei pagamenti con un quadro fiscale in significativo miglioramento».
Dove, invece, vedete le migliori occasioni nel credito aziendale?
«Abbiamo diverse posizioni in società brasiliane, indiane e turche. La nostra strategia si concentra su società con fondamentali solidi che appartengono ai comparti più difensivi di queste economie. Al contempo, l’esposizione al credito ci permette di incassare un consistente spread rispetto ai titoli di stato degli EM.
Di conseguenza, deteniamo emissioni delle maggiori banche, dei gruppi che costruiscono infrastrutture per le energie rinnovabili, delle utility e degli esportatori che generano consistenti fatturati in dollari.
Tipicamente, si tratta di bond che presentano un rating nella fascia compresa fra BBB e BB: in generale, nell’insieme degli emergenti le società con questo profilo creditizio offrono uno spread più elevato per unità di leva di bilancio, rispetto alle controparti statunitensi. Di solito, queste asset class hanno una leva finanziaria bassa, se si esclude la Cina. Come si può capire, cerchiamo anche di ottenere un’elevata diversificazione all’interno di diverse aree geografiche».
Si tratta di un mercato che fino a non molti anni fa era dominato dalle emissioni di aziende del Dragone; come è cambiato negli ultimi anni?
«È vero, prima della crisi immobiliare cinese, erano le società della seconda economia del pianeta a fornire il grosso delle emissioni corporate dei mercati emergenti. Negli ultimi anni, però, il grado di diversificazione è aumentato notevolmente, con una vasta quantità di bond provenienti da economie come il Brasile, la Colombia, l’India, il Messico e la Turchia.
Quest’ultima rappresenta un caso particolarmente interessante, perché i gruppi locali si sono trovati tagliati fuori dalla possibilità di collocare obbligazioni a causa dei problemi macroeconomici del paese. Ma oggi che vengono applicate politiche più ortodosse a livello governativo, anch’essi hanno potuto tornare a rivolgersi agli investitori.
In Turchia, però, non abbiamo posizioni sulle banche private locali, per via di spread troppo compressi e di un inevitabile rallentamento della crescita dovuto all’innalzamento dei tassi. Siamo, invece, esposti alle banche di proprietà dello Stato e ad alcune società del settore chimico, che possono contare su un fiorente business orientato alle esportazioni».
Quali sono invece le aziende indiane che preferite?
«Deteniamo in portafoglio il debito di gruppi indiani che stanno costruendo infrastrutture e orientate alla produzione e alla distribuzione di energia rinnovabile. Si tratta di un segmento che sta ricevendo un grande impulso dai piani di sviluppo del governo. Inoltre, in questo ambito si possono trovare bond in dollari che presentano uno spread interessante rispetto a quanto quotato dal settore quasi-sovereign del Paese. Ricordiamo che l’India non emette obbligazioni sovrane in valuta forte».
Come vi muovete nel debito pubblico in divisa locale?
«In quel caso investiamo quando si presentano occasioni che offrono buoni rendimenti accompagnati da inflazione in diminuzione e con la Banca centrale che ha già iniziato a tagliare i tassi con la dichiarata prospettiva di continuare tale processo. Un simile profilo può essere identificato in nazioni come la Repubblica Ceca, l’India e il Messico. Questo approccio permette al complesso della nostra strategia di aggiungere ulteriore alfa.
Si tratta di un metodo interamente incentrato sui fondamentali obbligazionari: possiamo non assumerci alcun rischio di cambio se non riteniamo la valuta interessante, in tal caso copriamo la valuta».
Infine, gli investitori devono preoccuparsi della rinnovata cautela da parte della Federal Reserve?
«La Fed è sempre più convinta che l’inflazione statunitense stia tornando in modo sostenibile verso l’obiettivo. Sebbene la Fed attenda l’attuazione delle politiche proposte da Trump prima di integrarle nel proprio outlook, le preoccupazioni del mercato potrebbero portare a un aumento dei rendimenti dei Treasury USA, in quanto gli investitori temono che l’inflazione possa invertire la rotta.
La Fed vorrà evitare una recrudescenza e, pur prevedendo ulteriori tagli dei tassi, il ritmo del ciclo di allentamento potrebbe rallentare. Inoltre, il ritorno di Donald Trump al potere negli Stati Uniti comporta una nuova incertezza e venti contrari per gli asset dei mercati emergenti, come il rafforzamento del dollaro, l’aumento dei rendimenti del Tesoro statunitense e il rischio di un aumento dei dazi.
Tuttavia, la probabilità di un atterraggio morbido dell’economia è aumentata con la conquista del Congresso da parte dei repubblicani, in previsione di un programma a favore della crescita, che sarebbe di sostegno agli EM.
Inoltre, i cicli di allentamento delle banche centrali degli EM sono generalmente in corso. Durante il primo mandato di Trump, i rendimenti degli EMD sono stati molto forti nonostante le politiche “America First” dell’amministrazione. E sono la prova che gli EM possono ottenere buoni risultati con un’amministrazione Trump.
Inoltre, se osserviamo la performance storica degli EM due anni dopo il primo taglio dei tassi della Fed, i rendimenti sono relativamente impressionanti, a dimostrazione dell’impatto positivo che l’allentamento della Fed ha storicamente avuto su questa classe di attivi.
L’insieme di questi due fattori ci induce a ritenere che le prospettive di rendimento dell’asset class siano solide, anche se ci aspettiamo un aumento della volatilità nel breve periodo».
Boris Secciani
Nato a Bologna nel 1974, a Milano ho completato gli studi in economia politica, con una specializzazione in metodi quantitativi. Ho cominciato la mia carriera come broker di materie prime negli Usa, per poi proseguire come trader sul forex. Tornato in Italia ho partecipato come analista e giornalista a diversi progetti. Sono in FONDI&SICAV dalla sua fondazione, dove opero come Responsabile dell'Ufficio Studi. I miei interessi si incentrano soprattutto sul mondo dei tassi di interesse e del reddito fisso, sulla gestione del rischio di portafoglio e sull'asset allocation.

